Morta dopo liposuzione, nello studio di Picciotti operava anche la segretaria: la laurea in Russia e gli interventi


Una semplice informatrice farmaceutica operava nello studio del dottor José Lizarraga Picciotti, indagato con l’accusa di omicidio colposo per la morte di una 46enne ecuadoriana durante un intervento di liposuzione. Olivia Buldrini, questo il nome della sedicente chirurga ora indagata per esercizio abusivo della professione, si spacciava come assistente del medico peruviano. Peccato che non fosse nemmeno laureata in Medicina e che, come rivela nella sua edizione odierna Il Messaggero, sia indagata per lesioni personali in un altro fascicolo.
Olivia Buldrini e le operazioni in due ambulatori sotto sequestro
Di poco chiaro, o meglio di nascosto, c’è tanto nella vicenda che ruota attorno alla morte di Ana Sergia Alcivar Chenche. A partire proprio dal ruolo di Olivia Buldrini, che non solo operava nell’appartamento di Primavalle di Lizarraga Picciotti – adibito ad ambulatorio abusivo – ma anche nell’ambulatorio di Carlo Bravi, il medico indagato per la morte di Simonetta Kalfus e ora sospeso per sei mesi.
Nonostante non avesse nemmeno una carta in regola per prendere in mano strumenti chirurgici, la donna aveva operato al seno una paziente, costringendola poi a rivolgersi a un altro chirurgo estetico per porre rimedio ai danni fisici provocati da Buldrini. Un’altra paziente, scrive il quotidiano romano, avrebbe addirittura ricevuto una dozzina di iniezioni di botulino a domicilio dalla sedicente chirurga al modico prezzo di 250 euro. Dopo i successivi trattamenti, l’informatrice farmaceutica le avrebbe offerto un intervento «a prezzo di favore» in un ambulatorio di sua personale conoscenza: quello di Carlo Bravi.
Come lavorava Olivia Buldrini: i biglietti da visita e le operazioni a domicilio
Il modus operandi di Olivia Buldrini era lo stesso, che operasse come presunta assistente di Bravi o di Lizarraga Picciotti. Si presentava come medico, distribuendo ai pazienti suoi biglietti da visita personali. Si diceva disponibile a interventi chirurgici anche a domicilio e prescriveva farmaci usando il ricettario e i timbri del dottor José Lizarraga Picciotti.
Il 65enne ha sostenuto davanti agli inquirenti di essere convinto che lei avesse una laurea in Medicina conseguita in Russia, che stava per essere riconosciuta anche in Italia. E di essere completamente all’oscuro delle operazioni svolte da Buldrini nel suo ambulatorio, senza alcuna precauzione sanitaria. Un filo rosso che collega l’attività romana del chirurgo peruviano alle sue precedenti, per cui nel 2019 era già stato condannato a risarcire con 200mila euro una paziente per averla operata con ferri non sterili e aver ritardato volutamente i soccorsi per evitare di essere ritenuto responsabile dei danni.