7 agosto 2025: scatta l’era dei dazi nel commercio globale. Chi li paga e chi ci guadagna


L’ora X è scattata alla mezzanotte e un minuto di oggi 7 agosto, ora di Washington. Ovvero nel momento dell’entrata in vigore dei dazi sulle importazioni imposti dagli Stati Uniti a dozzine di paesi. Tasse più elevate che vanno dal 10% al 41%, volute dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Che oggi si rallegra per gli incassi dell’erario americano. Ma che secondo i calcoli sono attualmente pagati in massima parte da importatori e consumatori Usa. Nell’azione del presidente che rimodella il commercio globale i prodotti di economie come l’Unione Europea, il Giappone e la Corea del Sud ora pagano tariffe del 15%. Altri, come l’India, affrontano dazi del 25%, con il rischio di raddoppiarli tra qualche settimana se non smettono di comprare petrolio russo.
L’era dei dazi nel commercio globale
I dazi sono usati anche come ritorsione politica. Il Brasile aveva una tariffa del 10%, ma Trump ha imposto un prelievo aggiuntivo del 40% per l’incriminazione e l’arresto dell’ex presidente Jair Bolsonaro, vecchio alleato del presidente Usa. Le tariffe doganali più elevate nelle intenzioni del presidente devono ridurre il deficit commerciale negli Stati Uniti. Contribuiranno però anche all’aumento dell’inflazione e gli Usa dovranno anche fronteggiare qualche ritorsione da parte dei partner commerciali. La Reuters spiega che dalla mezzanotte di oggi 7 agosto l’agenzia statunitense Customs and Border Protection ha iniziato a riscuotere tariffe più elevate. I dazi non si applicano alle importazioni settoriali specifiche, che sono prese di mira separatamente.
L’inflazione e la crescita a lungo termine
Ovvero acciaio e automobili ma anche prodotti farmaceutici e chip. Trump ha minacciato una tariffa del 100% sui semiconduttori. Dalla quale sarebbe esente per esempio TSMC, che ha fabbriche negli Usa. Gli economisti avvertono che i dazi potrebbero alimentare l’inflazione e pesare sulla crescita a lungo termine. William Reinsch, ricercatore senior ed esperto commerciale presso il Center for Strategic and International Studies di Washington, ha detto a Reuters che i dazi provocherannno «una riorganizzazione della catena di approvvigionamento. Ci sarà un nuovo equilibrio. I prezzi qui saliranno, ma ci vorrà del tempo prima che si manifesti in modo significativo». I paesi con dazi elevati, come India e Canada, «continueranno a lottare per risolvere la situazione». Qualsiasi merce ritenuta trasbordata da un paese terzo per eludere le imposte statunitensi più elevate sarà considerata non idonea.
Gli incassi
Trump ha vantato il vasto aumento delle entrate federali derivanti dalle sue tasse sulle importazioni, che vengono in ultima analisi pagate dalle aziende che importano i beni e dai consumatori dei prodotti finali. Il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha affermato che le entrate tariffarie statunitensi potrebbero superare i 300 miliardi di dollari all’anno. Le aliquote tariffarie medie statunitensi arriveranno a circa il 20%, il livello più alto in un secolo e in aumento rispetto al 2,5% registrato quando Trump è entrato in carica a gennaio. I dati del Dipartimento del Commercio pubblicati la scorsa settimana hanno mostrato ulteriori prove che i dazi hanno iniziato a far salire i prezzi negli Stati Uniti a giugno. Tra i rincari i prodotti per l’arredamento e le attrezzature domestiche durevoli, i beni ricreativi e i veicoli a motore.
15 miliardi di dollari
Sempre secondo Reuters i costi della guerra tariffaria di Trump stanno aumentando per un’ampia gamma di aziende, tra cui i leader Caterpillar, Marriott, MolsonCoors e Yum Brands. Nel complesso, le aziende globali che hanno dichiarato utili in questo trimestre rischiano di subire una perdita di circa 15 miliardi di dollari nei profitti nel 2025.