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Intelligenza artificiale, quali professioni sono più a rischio? L’analisi di Microsoft: i lavori (e i settori) che si possono salvare

10 Agosto 2025 - 21:39 Alba Romano
chatgpt psicologo
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Uno studio su 200mila conversazioni con Copilot mostra che l'Ia non sostituirà tutti, ma trasformerà molte professioni. La armi di difesa? Manualità, contatto umano e imprevedibilità

L’intelligenza artificiale ci ruberà il lavoro? È una domanda che ha iniziato a rimbalzare ovunque, almeno da quando strumenti come Chat Gpt hanno iniziato a entrare nella quotidianità di molti. In questi giorni, a dare una risposta basata sui dati, ci ha pensato Microsoft, che ha pubblicato su arXiv uno studio dal titolo Lavorare con l’intelligenza artificiale: misurare le implicazioni occupazionali dell’AI generativa. La ricerca si basa sull’analisi di 200mila conversazioni anonime avvenute su Copilot, nelle quali gli utenti hanno affidato all’AI compiti di ogni tipo. I ricercatori hanno poi esaminato le risposte e misurato la qualità del lavoro prodotto, associando a ogni professione un punteggio in grado di indicare quanto l’attività sia esposta alle capacità dell’intelligenza artificiale generativa. Il risultato, più che un bollettino di licenziamenti annunciati, racconta un processo di trasformazione: l’AI, secondo Microsoft, non è tanto destinata a sostituire in massa, quanto a modificare il modo in cui molti lavori vengono svolti, migliorando la produttività e riducendo i tempi necessari.

I lavori che rischiano di essere sostituiti più facilmente

Tra le categorie più esposte spiccano i professionisti della comunicazione e dei media. Giornalisti, copywriter, addetti stampa e creativi pubblicitari già utilizzano chatbot per scrivere e revisionare testi, sintetizzare contenuti, ideare titoli e perfino produrre materiali grafici e video. In questo settore, l’efficacia degli strumenti è impressionante: l’AI raggiunge un tasso di successo dell’86% e impiega la metà del tempo rispetto a un lavoratore umano. In pericolo sono soprattutto le attività operative, mentre creatività e strategia restano ancora appannaggio delle persone.

Il caso degli uffici amministrativi

Più sfumata è la situazione in altri ambiti, dove l’intelligenza artificiale è certamente utile, ma non in grado di sostituire del tutto il fattore umano. È il caso di chi lavora in uffici amministrativi, negli archivi, nel customer care avanzato, nel settore accademico o in quello finanziario. Qui l’AI può automatizzare la classificazione dei documenti, supportare nella preparazione di quiz e dispense, individuare anomalie nei bilanci, ma la supervisione, l’interpretazione e il senso critico restano prerogative indispensabili di chi svolge queste professioni.

I settori meno a rischio

Esistono poi settori che, almeno per ora, sono praticamente impermeabili all’avanzata dell’AI generativa. Si tratta di lavori in cui la manualità, il contatto umano e la gestione dell’imprevisto sono elementi centrali e insostituibili. Gli operai del tessile e dell’abbigliamento, ad esempio, possono usare l’AI per la progettazione stilistica o il controllo qualità, ma non per la produzione artigianale. Allo stesso modo, cuochi e personale alberghiero non possono essere rimpiazzati da una cucina robotica, così come giardinieri, manutentori, addetti alle pulizie e alla disinfestazione. E ancora: meccanici, muratori, lavoratori agricoli e forestali, lavapiatti e massaggiatori. In tutti questi casi, non è tanto la mancanza di tecnologie adeguate a proteggere il lavoro, quanto la complessità e la ricchezza di interazioni fisiche e relazionali che l’AI non riesce a replicare.

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