Latte d’avena, frullati e bevande light: quando le scelte che sembrano salutari in realtà fanno male al corpo umano


Nelle giornate d’estate più torride, le bevande, preferibilmente ghiacciate, diventano refrigerio allettante per il nostro organismo. Non solo té freddo o succhi ma anche soluzioni considerate più “healthy”, salutari, diventano protagoniste di colazioni e spuntini. Dal latte d’avena, diventato una delle scelte più gettonate tra chi preferisce evitare la versione vaccina, ai frullati proteici, quello che ci sembra un gesto di benessere potrebbe però avere un prezzo nascosto per la nostra salute e danneggiare il nostro intestino. Negli ultimi anni, la scienza ha confermato quanto la salute parta proprio dall’apparato digerente. Il nostro microbioma intestinale, un complesso ecosistema di batteri, virus e funghi, regola digestione, immunità e persino umore. Quando questo equilibrio si spezza, provocando un fenomeno chiamato disbiosi, compare forte infiammazione, gonfiore, digestione lenta, con un aumento del rischio di malattie croniche.
Latte d’avena così innocuo? Le bevande da attenzionare
E se spesso facciamo attenzione a ciò che mangiamo, yogurt, kefir, alimenti fermentati, ciò che beviamo può compromettere gli stessi risultati. «Molti non si rendono conto che un bicchiere di bibita può contenere tanto zucchero quanto una barretta di cioccolato. Bevute ogni giorno, certe bevande possono annullare gli sforzi fatti con probiotici e alimentazione sana», spiega il professor Tim Spector, capo del Dipartimento di ricerca gemella e epidemiologia genetica del King’s College di Londra e fondatore della Società di scienze e nutrizione Zoe. Ma cosa a che fare un avvertimento del genere con il salutare latte d’avena o ancora con i frullati proteici che promettono energia? Alcune delle bevande che percepiamo come alleate della salute contengono zuccheri liberi, dolcificanti e additivi che disturbano il microbioma intestinale. Gli esperti hanno individuato sette bibite che, più di altre, minacciano la salute dell’intestino. Ecco quali sono e con quali alternative possiamo sostituirle.
Tè freddo in bottiglia
Le bevande ultra processate, insieme ai cibi, sono state identificate in un recentissimo studio della University of Michigan come capaci di attivare nel cervello gli stessi circuiti della gratifica coinvolti nelle dipendenze da nicotina o alcol. I prodotti industriali possono indurre desiderio compulsivo, perdita di controllo e consumo continuo nonostante conseguenze negative, in linea con criteri clinici usati per il riconoscimento dei disturbi da uso di sostanze.
Partendo da questa consapevolezza, è più facile comprendere perché il tè freddo in bottiglia, spesso percepito come un’opzione fresca e leggera, possa in realtà essere problematico per l’intestino. Certamente gli ingredienti che dovrebbero caratterizzare il tè, polifenoli, catechine ed epigallocatechina gallato (EGCG), hanno funzioni importanti: contrastano l’infiammazione intestinale, favoriscono la crescita di batteri benefici (come Lactobacillus e Bifidobacterium) e stimolano la produzione di acidi grassi a catena corta, nutrienti che aiutano a mantenere la barriera difensiva dell’intestino.
Quando il tè è zuccherato, e quindi arricchito con dolcificanti artificiali o additivi, perde quasi del tutto questi benefici. Non solo: zuccheri e composti chimici presenti nel prodotto industriale sono in grado di alterare il microbioma, e cioè l’ecosistema dei microbi intestinali, favorendo quello squilibrio chiamato disbiosi.
Bibite “light”
Le bibite gassate, anche con dicitura “light”, sono tra le bevande più tipiche degli ultraprocessati: prodotti industriali ricchi di zuccheri liberi, dolcificanti artificiali, aromi e coloranti. Proprio queste caratteristiche le rendono capaci di attivare i circuiti della gratificazione cerebrale, generando consumo compulsivo e, in alcuni casi, comportamenti simili alla dipendenza.
Dal punto di vista dell’intestino, gli effetti sono doppi:
- Gli zuccheri semplici nutrono i batteri “cattivi” del microbioma, favorendo fermentazioni anomale, gonfiore e disbiosi.
- I dolcificanti artificiali, come aspartame o sucralosio, possono alterare la composizione batterica e ridurre la presenza di specie benefiche come Bifidobacterium e Lactobacillus.
Uno studio pubblicato nel 2025 dal Northwestern University Feinberg School of Medicine ha mostrato che il consumo quotidiano di bibite zuccherate è correlato a cambiamenti in almeno 9 specie batteriche intestinali e a un aumento del rischio di diabete di tipo 2, proprio a causa di queste alterazioni microbiche. Le alternative possibili suggerite dagli esperti capaci di fornire al nostro organismo la sensazione di frizzantezza sono prodotti come il kefir d’acqua: naturalmente frizzante, con fermenti vivi benefici per il microbioma e senza zuccheri raffinati aggiunti.

Latte d’avena
Negli ultimi anni il latte d’avena è diventato una delle bevande vegetali più popolari: non contenente lattosio, è considerato più sostenibile del latte vaccino e viene spesso scelto da chi vuole sentirsi “più healthy” a colazione o nella pause giornaliere. Ma la sua versione industriale, quella che compriamo al supermercato, può avere un impatto molto diverso da quello che immaginiamo sulla salute intestinale.
Come viene prodotto e cosa comporta per l’intestino:
- Filtrazione e perdita di fibre prebiotiche
- I chicchi d’avena vengono immersi in acqua e filtrati più volte.
- In questo processo si eliminano quasi del tutto le fibre solubili, in particolare i beta-glucani: fondamentali per la salute intestinale, sono prebiotici naturali, nutrono cioè i batteri benefici (Bifidobacterium e Lactobacillus), favoriscono la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA) e rafforzano la barriera intestinale.
- Nel latte d’avena che acquistiamo al supermercato queste fibre sono quasi assenti,dunque sparisce il principale beneficio dell’avena intera.
- Formazione di zuccheri liberi
- Durante il processo di lavorazione, gli enzimi scompongono l’amido dell’avena in maltosio e glucosio, cioè zuccheri semplici.
- Questi zuccheri liberi vengono assorbiti molto rapidamente e nutrono i batteri intestinali opportunisti, favorendo gonfiore, fermentazione e disbiosi.
- E qui veniamo a uno dei punti più critici: dal punto di vista metabolico, il latte d’avena industriale ha un indice glicemico alto, simile a quello di un succo di frutta.
- Aggiunta di oli e additivi
- Per rendere il latte d’avena cremoso e stabile, le aziende aggiungono oli vegetali (spesso di colza o girasole) ed emulsionanti.
- Alcuni emulsionanti e stabilizzanti sono stati collegati, in studi su animali e in modelli cellulari, a irritazione della mucosa intestinale, riduzione della diversità batterica e aumento dell’infiammazione (Nature Reviews Gastroenterology & Hepatology, 2023).
- Perdita dell’effetto saziante
- Senza fibre e con zuccheri liberi, il latte d’avena non sazia come l’avena intera e provoca picchi glicemici rapidi.
- Questo non solo è meno salutare per il metabolismo ma a lungo andare non aiuta il microbioma, che prospera invece con pasti più lenti e ricchi di fibre.
«Il latte d’avena confezionato è più simile a un succo di frutta che a un alimento funzionale» spiega la clinica nutrizionista Stephanie Moore. «Dal punto di vista del microbioma, non offre i benefici dell’avena intera, e gli zuccheri liberi possono essere controproducenti se consumati ogni giorno». Tra le alternative consigliate c’è proprio l’avena intera preparata in porridge, capace di mantenere le fibre prebiotiche e di nutrire i batteri buoni dell’intestino.
Frullati e succhi
Colorati, dolci e ricchi di vitamine, i succhi di frutta hanno sempre avuto un’immagine salutare. Tuttavia, per il microbioma intestinale la realtà è molto diversa: senza la fibra naturale della frutta, diventano vere e proprie bombe di zuccheri liberi.
Cosa succede nell’intestino quando li beviamo:
- Perdita della fibra naturale
- La spremitura o la centrifugazione elimina la fibra insolubile e gran parte di quella solubile.
- Senza fibra, il transito intestinale è più veloce e i batteri benefici presenti nel nostro intestino ricevono meno nutrimento, riducendo la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA) addetti alla protezione della mucosa intestinale.
- Picchi glicemici e nutrimento per i batteri “cattivi”
- Gli zuccheri liberi, come fruttosio e glucosio, entrano rapidamente nel sangue, provocando picchi glicemici.
- Nell’intestino, questi zuccheri favoriscono la crescita di batteri opportunisti e di lieviti, causando fermentazioni anomale, gonfiore e possibile disbiosi.
- Aumento della permeabilità intestinaleì
- Uno studio pubblicato su Nutrients (2025) ha osservato che una dieta ricca di succhi e frullati zuccherini può aumentare la permeabilità intestinale già in pochi giorni.
- Questo fenomeno, spesso chiamato “leaky gut” o intestino permeabile, permette a sostanze indesiderate di attraversare la barriera intestinale, innescando infiammazione e aumentando il rischio di disturbi metabolici.

«I succhi di frutta, anche naturali, sono vere e proprie bombe di zucchero» conferma il prof. Spector. «Per il microbioma, molto meglio consumare la frutta intera, che preserva la fibra e gli effetti prebiotici». Va da sé che le alternative consigliate in questo caso siano direttamente succhi di frutta fatti in casa, kefir o yogurt con frutta fresca a pezzi, capaci di unire fibre e probiotici. In alternativa gli esperti hanno una buona considerazione anche delle centrifughe e degli smoothie fatti in casa con frutta intera «e se possibile con l’aggiunta di semi di lino o avena per arricchire di fibre».
Birra lager
Dopo una giornata calda, una birra lager ghiacciata sembra la ricompensa perfetta. Stiamo parlando di tipo di birra caratterizzata da una fermentazione a bassa temperatura e una lunga maturazione, spesso prodotta con lieviti. Dal punto di vista intestinale, un processo tutt’altro che amico del microbioma intestinale. (Frontiers in Nutrition, 2023). Anche piccole quantità di alcol alterano la sua composizione batterica, favorendo specie opportuniste. Si verifica così un aumento della permeabilità intestinale e il passaggio di tossine nel sangue, il risultato è quello di un’infiammazione sistemica vera e propria.
Nello specifico le lager industriali sono filtrate e pastorizzate, una lavorazione che le priva dei cosiddetti polifenoli, molecole vegetali antiossidanti che proteggono la mucosa intestinale. Contengono inoltre zuccheri residui che possono alimentare batteri meno benefici creando un effetto domino dannoso se consumate con regolarità durante la nostra estate. A differenza delle lager, un consumo moderato di birra scura invece risulta favorire la comparsa di alcune specie batteriche benefiche, proprio grazie ai polifenoli ancora presenti. A confermalo è uno degli ultimistudi sul tema: quattro settimane di consumo moderato di birra, anche analcolica, possono aumentare la diversità batterica intestinale.
Frullati proteici industriali
Sempre più diffusi anche d’estate tra sportivi e persone che seguono diete iperproteiche, i frullati proteici sono disponibili in bottiglia già pronti o sotto forma di polveri solubili. L’idea del frullato proteico può indurre all’errore di rimanere “leggeri” ma con un apporto calorico ed energizzante sufficiente per affrontare i caldi mesi estivi anche sotto sforzo fisico. Anche in questo caso dal punto di vista della salute intestinale, il loro profilo non è ideale:
- Le proteine isolate vengono fermentate proprio da alcuni batteri intestinali capaci di produrre per esempio ammoniaca: della famiglia delle ammine è in grado di irritare e non di poco la mucosa dell’intestino e favorire infiammazione.
- Anche qui, l’assenza di fibre prebiotiche riduce la crescita dei batteri benefici e la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), molecole che proteggono la barriera intestinale.
- La presenza di dolcificanti artificiali può alterare la composizione del microbioma, riducendone la diversità.
«Molti frullati industriali forniscono proteine, ma non nutrienti veri per l’intestino» continua Spector. «Il rischio è di avere un prodotto calorico certo, ma povero di benefici per il microbioma».
Alcolici scuri? Ma quando mai…
Gli alcolici scuri, come whisky, brandy e rum. sono spesso percepiti come bevande “di classe” o più “pure” rispetto a cocktail e birre industriali. Tuttavia, per l’intestino sono tra le opzioni più dannose in assoluto. Durante la distillazione e l’invecchiamento si formano i cosiddetti congeneri, composti naturali responsabili del colore scuro della bevanda e del suo gusto intenso. Diversi studi dimostrano come i congeneri siano in grado di aumentare l’infiammazione intestinale, e che per questo vengono associati a postumi più intensi insieme a un maggiore stress della mucosa intestinale. Uno dei problemi per la salute è inoltre l’assenza di composti protettivi: a differenza di vino rosso o birre scure, gli alcolici distillati non contengono polifenoli in quantità significative. Questo significa che l’alcol viene assunto senza alcun contrappeso antiossidante, amplificando gli effetti dannosi. Le alternative da scegliere secondo gli esperti, seppur con moderazione, è il mezcal e il tequila: prodotti con l’agave, contengono per questo inulina, una fibra prebiotica capace di nutrire i batteri intestinali benefici.
