La trattativa tra Putin e Trump senza Zelensky, il «tesoro» miliardario di Kiev sul tavolo: che cosa rischia di perdere l’Ucraina


La presenza di Volodymyr Zelensky al vertice del 15 agosto in Alaska tra Putin e Trump rimane un’incognita. Secondo fonti della Casa Bianca citate da Nbc, non è da escludere che il presidente ucraino possa essere presente, anche se è improbabile che partecipi direttamente al faccia a faccia con Vladimir Putin. Trump potrebbe usare Zelensky per portare avanti un tavolo parallelo con l’Ucraina, ricorda il Messaggero, che in questo momento si sente esclusa e teme che senza Kiev al tavolo Putin possa ottenere una vittoria unilaterale mascherata da accordo di pace. L’ambasciatore americano alla Nato Matthew Whitaker ha definito «possibile» la presenza di Zelensky, anche se il presidente ucraino non ha ancora ricevuto un invito formale.
La posta in gioco: miliardi di dollari in risorse naturali
Quando Trump parla di possibile «scambio di territori» per raggiungere un accordo, dietro ci sono risorse dal potenziale valore di miliardi di dollari. Come ricorda il Corriere della Sera, il Donbass ospita la più grande riserva europea di manganese e titanio, oltre a uranio, grafite e caolino – tutti metalli e terre rare fondamentali per l’industria hi-tech e la green economy. Perdere la regione di Cherson significherebbe rinunciare a una quota importante del granaio ucraino e soprattutto perdere la «guerra dell’acqua». Cherson, con la foce del Dnipro, rappresenta il bacino idroelettico più importante del Paese. Il collasso della centrale di Kakhovka nel 2024 ha lasciato senza acqua il 94% dei sistemi di irrigazione della regione.
Che cosa vuole Putin per fermare l’invasione in Ucraina
Washington continua a credere che prima di un incontro con l’Ucraina sia necessario che Trump veda Putin. Il consigliere del Cremlino Juri Ushakov ha chiarito che l’inviato speciale Steve Witkoff aveva menzionato l’opzione di un incontro trilaterale, ma Mosca preferisce concentrarsi sul bilaterale. Il vicepresidente JD Vance ha dichiarato che «probabilmente sia i russi sia gli ucraini alla fine rimarranno scontenti», cercando una situazione in cui «possano convivere in relativa pace». Putin vuole che l’Ucraina ceda Donetsk e Crimea, mentre Kiev e l’Europa hanno respinto il piano con una controproposta che punterebbe a tutelare gli interessi di sicurezza ucraini ed europei.
Le risorse strategiche che l’Ucraina rischia di perdere
Per quanto riguarda il Donbass, la ragione dal punto di vista di Kiev è, nell’ordine, politica, militare ed economica. Mosca e Kiev combattono per questo territorio da 11 anni e migliaia di giovani ucraini sono morti per la difesa dell’Est. «Anche qualora Zelensky desse l’ordine di ritirarsi, è tutto da vedere che i militari obbediscano», commenta Tatarigami UA, ex ufficiale ucraino diventato analista militare. Russofono e culla dell’ortodossia fedele a Mosca, per i nazionalisti di Kiev il Donetsk rappresenta il bastione della rivoluzione di Maidan, la porta dell’Europa e il vero fianco Est della NATO. Quello che nel 2014 fece gola a Washington quando decise di investire sulla formazione degli apparati militari e di intelligence ucraini.
Perdere il Donbass: dalle linee fortificate alle risorse minerarie
Cedere il Donbass significherebbe perdere centinaia di chilometri di trincee e linee fortificate, rendendo molto facile per Putin portare a termine ciò che proclama da tempo: finire il lavoro ed entrare nella regione di Dnipropetrovsk. La linea ferroviaria che collega Pokrovsk, Kramatorsk, Kostyantynivka diventerebbe il trampolino di lancio perfetto per spostare uomini e mezzi e lanciare l’assalto a Dnipro, sede del potere finanziario ucraino. Il Donbass, con il suo bacino minerario, continua Marta Serafini sul Corriere, è la più grande riserva in Europa di manganese e di titanio, uranio, grafite, caolino. Gli stessi metalli e terre rare che sono alla base dell’industria del futuro, dell’hi-tech e della green economy. Le stesse leve che sono servite a Kiev per tenere Washington al suo fianco anche quando la Casa Bianca vacillava.
Perdere la regione di Cherson significherebbe chiudersi definitivamente alle spalle la porta della Crimea e rinunciare a una buona quota del granaio che da sempre ha costituito la forza economica del sud ucraino. Con un’aggravante: perdere la guerra dell’acqua. Se il Donbass è il bacino minerario per antonomasia, Cherson con la foce del Dnipro è il bacino idroeletrico più importante del Paese. Il collasso della centrale idroelettrica di Kakhovka nel 2024 ha di fatto lasciato senza acqua il 94% dei sistemi di irrigazione a Cherson, il 74% a Zaporizhzhia e il 30% nella regione di Dnipropetrovsk.
Il nodo della centrale nucleare di Zaporizhzhia
Come fa notare Henry Sokolski, direttore esecutivo del Nonproliferation Policy Education Center, in tutte le proposte di pace emerge sempre un elemento: la riapertura della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, danneggiata e dotata di sei reattori, ora sotto controllo russo. Prima della guerra l’impianto contribuiva ad alimentare la rete elettrica ucraina ed esportava energia in eccesso in Europa. Ora le linee di trasmissione devono essere ricostruite e l’impianto sminato. Ma chi pagherà tutto questo lavoro? I beni russi sequestrati o i fondi della Banca europea per la Ricostruzione? Come sottolinea l’analista militare, ex ufficiale ucraino, noto come Tatarigami UA su X: «Dal 1991, la Russia ha venduto pezzi ai suoi vicini come un macellaio: la Transnistria alla Moldavia nel ’92, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud alla Georgia nel 2008, il Donbass e la Crimea all’Ucraina nel 2014, e poi di nuovo nel 2022. Ma questa volta sarà diverso».