Trump: «In Alaska Zelensky non sarà presente, ci sarà uno scambio di territori». Oggi riunione dei Volenterosi. Tajani: «Europa partecipi ai negoziati»


Volodymyr Zelensky non prenderà parte all’incontro di venerdì 15 agosto in Alaska con Vladimir Putin. Lo ha fatto sapere Donald Trump, che ha anche detto che «il prossimo incontro sarà fra Zelensky e Putin, o Zelensky, Putin e me. Ci sarò se ce ne sarà bisogno ma voglio organizzare un incontro fra i due leader. Vogliono metterli seduti in una stanza». Il presidente americano si è poi detto «contrariato» dal leader ucraino a causa del rifiuto di cedere territori. Anzi, ha detto Trump, «ci sarà uno scambio di territori, lo so dalla Russia». L’importante è che ci sia «un cessate il fuoco molto velocemente». Ma, ha ricordato poi il presidente Usa, «non sta a me fare un accordo» fra Russia e Ucraina. «Vado a vedere i parametri. Potrei andarmene e dire buona fortuna e quella sarà la fine. Vedremo cosa Putin ha in mente».
La riunione tra i Volenterosi
Intanto, il presidente francese, Emmanuel Macron, il premier britannico Keir Starmer e il cancelliere tedesco Friedrich Merz, «hanno preso l’iniziativa di organizzare oggi una riunione in videoconferenza della coalizione dei Volenterosi per coordinarsi in vista dell’incontro fra il presidente americano, Donald Trump, e il russo Vladimir Putin, sull’Ucraina, in programma venerdì in Alaska»: lo ha reso noto una fonte dell’Eliseo. «Altre riunioni in videoconferenza si terranno anche il giorno stesso in diversi formati, in particolare con la presenza del presidente Trump», aggiungono fonti della presidenza francese.
L’allarme di Tajani
Del vertice tra Trump e Putin ha parlato anche il ministro degli esteri italiano, Antonio Tajani, secondo cui la sicurezza dell’Europa «è a rischio, dobbiamo partecipare ai negoziati» tra Russia e Ucraina. Lo ha detto nel suo intervento alla riunione d’emergenza dei ministri degli Esteri Ue proprio in vista dell’incontro tra Putin e Trump. «I contatti tra i leader prima dell’incontro in Alaska vanno in questa direzione». Per Tajani «l’unità dell’Europa è essenziale», così come è «importante mantenere un forte coordinamento con i nostri alleati americani». «Sosteniamo gli sforzi del presidente Trump e vediamo alcuni progressi. Speriamo si raggiunga un accordo il prima possibile, ma sappiamo che non sarà facile».
La posta in gioco: miliardi di dollari in risorse naturali
Quando Trump parla di possibile «scambio di territori» per raggiungere un accordo, dietro ci sono risorse dal potenziale valore di miliardi di dollari. Come ricorda il Corriere della Sera, il Donbass ospita la più grande riserva europea di manganese e titanio, oltre a uranio, grafite e caolino – tutti metalli e terre rare fondamentali per l’industria hi-tech e la green economy. Perdere la regione di Cherson significherebbe rinunciare a una quota importante del granaio ucraino e soprattutto perdere la «guerra dell’acqua». Cherson, con la foce del Dnipro, rappresenta il bacino idroelettico più importante del Paese. Il collasso della centrale di Kakhovka nel 2024 ha lasciato senza acqua il 94% dei sistemi di irrigazione della regione.
Che cosa vuole Putin per fermare l’invasione in Ucraina
Washington continua a credere che prima di un incontro con l’Ucraina sia necessario che Trump veda Putin. Il consigliere del Cremlino Juri Ushakov ha chiarito che l’inviato speciale Steve Witkoff aveva menzionato l’opzione di un incontro trilaterale, ma Mosca preferisce concentrarsi sul bilaterale. Il vicepresidente JD Vance ha dichiarato che «probabilmente sia i russi sia gli ucraini alla fine rimarranno scontenti», cercando una situazione in cui «possano convivere in relativa pace». Putin vuole che l’Ucraina ceda Donetsk e Crimea, mentre Kiev e l’Europa hanno respinto il piano con una controproposta che punterebbe a tutelare gli interessi di sicurezza ucraini ed europei.
Le risorse strategiche che l’Ucraina rischia di perdere
Per quanto riguarda il Donbass, la ragione dal punto di vista di Kiev è, nell’ordine, politica, militare ed economica. Mosca e Kiev combattono per questo territorio da 11 anni e migliaia di giovani ucraini sono morti per la difesa dell’Est. «Anche qualora Zelensky desse l’ordine di ritirarsi, è tutto da vedere che i militari obbediscano», commenta Tatarigami UA, ex ufficiale ucraino diventato analista militare. Russofono e culla dell’ortodossia fedele a Mosca, per i nazionalisti di Kiev il Donetsk rappresenta il bastione della rivoluzione di Maidan, la porta dell’Europa e il vero fianco Est della NATO. Quello che nel 2014 fece gola a Washington quando decise di investire sulla formazione degli apparati militari e di intelligence ucraini.
Perdere il Donbass: dalle linee fortificate alle risorse minerarie
Cedere il Donbass significherebbe perdere centinaia di chilometri di trincee e linee fortificate, rendendo molto facile per Putin portare a termine ciò che proclama da tempo: finire il lavoro ed entrare nella regione di Dnipropetrovsk. La linea ferroviaria che collega Pokrovsk, Kramatorsk, Kostyantynivka diventerebbe il trampolino di lancio perfetto per spostare uomini e mezzi e lanciare l’assalto a Dnipro, sede del potere finanziario ucraino. Il Donbass, con il suo bacino minerario, continua Marta Serafini sul Corriere, è la più grande riserva in Europa di manganese e di titanio, uranio, grafite, caolino. Gli stessi metalli e terre rare che sono alla base dell’industria del futuro, dell’hi-tech e della green economy. Le stesse leve che sono servite a Kiev per tenere Washington al suo fianco anche quando la Casa Bianca vacillava.
Perdere la regione di Cherson significherebbe chiudersi definitivamente alle spalle la porta della Crimea e rinunciare a una buona quota del granaio che da sempre ha costituito la forza economica del sud ucraino. Con un’aggravante: perdere la guerra dell’acqua. Se il Donbass è il bacino minerario per antonomasia, Cherson con la foce del Dnipro è il bacino idroeletrico più importante del Paese. Il collasso della centrale idroelettrica di Kakhovka nel 2024 ha di fatto lasciato senza acqua il 94% dei sistemi di irrigazione a Cherson, il 74% a Zaporizhzhia e il 30% nella regione di Dnipropetrovsk.
Il nodo della centrale nucleare di Zaporizhzhia
Come fa notare Henry Sokolski, direttore esecutivo del Nonproliferation Policy Education Center, in tutte le proposte di pace emerge sempre un elemento: la riapertura della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, danneggiata e dotata di sei reattori, ora sotto controllo russo. Prima della guerra l’impianto contribuiva ad alimentare la rete elettrica ucraina ed esportava energia in eccesso in Europa. Ora le linee di trasmissione devono essere ricostruite e l’impianto sminato. Ma chi pagherà tutto questo lavoro? I beni russi sequestrati o i fondi della Banca europea per la Ricostruzione? Come sottolinea l’analista militare, ex ufficiale ucraino, noto come Tatarigami UA su X: «Dal 1991, la Russia ha venduto pezzi ai suoi vicini come un macellaio: la Transnistria alla Moldavia nel ’92, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud alla Georgia nel 2008, il Donbass e la Crimea all’Ucraina nel 2014, e poi di nuovo nel 2022. Ma questa volta sarà diverso».