Ultime notizie Donald TrumpGazaJannik SinnerTurismoVladimir Putin
ATTUALITÀCasaPoundGoverno MeloniLazioLombardiaMilanoRomaSgomberi

Mentre il Leoncavallo viene sgomberato, CasaPound resta intoccabile: la doppia faccia delle occupazioni in Italia

22 Agosto 2025 - 12:07 Cecilia Dardana
Secondo le stime del Demanio il danno erariale per il mancato sgombero della storica sede del movimento neofascista supera i 4,5 milioni di euro

Tra le cose che stonano nell’operazione di sgombero del Leoncavallo, a Milano, c’è n’è una che risalta all’occhio in particolar modo: la differenza di pesi e misure adottate per lo storico centro sociale milanese e per la sede di CasaPound a Roma. Nonostante Giorgia Meloni affermi che «in uno Stato di diritto non possono esistere zone franche o aree sottratte alla legalità», nel cuore dell’Esquilino, la sede storica del movimento neofascista continua a resistere dopo oltre vent’anni di occupazione. Lo stabile al civico 8 di via Napoleone III, a pochi passi dalla stazione Termini, fu preso nel dicembre 2003 da un gruppo di militanti neofascisti guidati da Gianluca Iannone. Da allora è diventato il quartier generale del movimento, soprannominato dai suoi stessi abitanti “Grand Hotel CasaPound”.

Cosa c’è dentro la sede di CasaPound

Qui, negli ex uffici del Ministero dell’Istruzione, sono stati ricavati appartamenti, una sala conferenze e spazi per l’attività politica. Sul mercato, un appartamento con due camere in quella zona supererebbe i 2.000 euro al mese. Il valore totale dell’immobile, considerando anche gli spazi per le attività politiche, supera i 300mila euro l’anno. Di fatto, è un bene pubblico trasformato in cittadella privata: secondo le stime del Demanio il danno erariale supera i 4,5 milioni di euro. Nel 2023 un tribunale di Roma ha condannato dieci esponenti, tra cui Iannone e i fratelli Di Stefano, a due anni e due mesi per occupazione abusiva aggravata, con una provvisionale da 20mila euro a testa. Eppure, nonostante le sentenze, lo sgombero non è mai arrivato.

Un’occupazione “inviolabile”

La vicenda di CasaPound è emblematica di come la politica e le istituzioni gestiscono — o non gestiscono — le occupazioni urbane. A ogni cambio di governo, la questione torna sul tavolo, ma resta ferma. Nel 2016 il commissario Tronca inserì lo stabile tra i beni da liberare, senza esito. Anche con i ministri dell’Interno successivi la linea è stata di prudenza: si teme che uno sgombero possa degenerare in scontri e, al tempo stesso, si evita di aprire un fronte delicato con la destra radicale. L’edificio rimane così un paradosso: formalmente abusivo, condannato in tribunale, ma ancora occupato. E soprattutto intoccabile, a differenza di altre realtà cittadine dove il peso sociale delle occupazioni ha garantito almeno un riconoscimento istituzionale o un percorso di mediazione.

Il confronto con il Leoncavallo

Lo stesso non si può dire per Milano, dove pochi giorni fa lo storico centro sociale Leoncavallo è stato sgomberato dopo oltre cinquant’anni di attività. Nato nel 1975, più volte sgomberato e rioccupato, il Leoncavallo è stato un luogo di sperimentazione culturale, politica e musicale, simbolo della sinistra antagonista. Il 21 agosto 2025, dopo 133 rinvii e anni di contenziosi, la polizia ha liberato l’immobile di via Watteau. Un epilogo che la premier Meloni ha definito «una vittoria della legalità», mentre il ministro dell’Interno Piantedosi ha parlato di «tolleranza zero». L’operazione ha segnato la fine di uno spazio che aveva ospitato concerti internazionali, dibattiti e iniziative solidali, ma che restava pur sempre un’occupazione.

Il paradosso Salvini

A commentare con toni trionfalistici lo sgombero è stato soprattutto Matteo Salvini. «Decenni di illegalità tollerata, finalmente si ripristina la legge», ha scritto il leader della Lega. Ma in molti hanno ricordato un dettaglio che rende la vicenda ancora più ironica: lo stesso Salvini, nel 1994, durante il suo debutto in Consiglio comunale a Milano, definì il “Leonka” «il mio ritrovo». Raccontò di averlo frequentato da ragazzo, spiegando che lì si discuteva, ci si confrontava e «si beveva una birra insieme». Un passato rivendicato apertamente e che stride con l’attuale linea dura. Perché se a Milano lo sgombero è arrivato con clamore mediatico e celebrazione politica, a Roma CasaPound continua indisturbata la sua esistenza.

leggi anche