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Pensioni pubbliche, dal 2025 niente deroghe sulle aliquote per chi va in anticipo tra 65 e 67 anni

26 Agosto 2025 - 12:40 Ugo Milano
inps pensioni
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L’Inps conferma l’applicazione delle nuove aliquote retributive; Durigon propone di usare il Tfr per anticipare l’uscita a 64 anni, ma sindacati e opposizioni avvertono sui rischi per i lavoratori

Per i dipendenti pubblici – insegnanti, operatori sanitari, ufficiali giudiziari e dipendenti degli enti locali – che andranno in pensione anticipata tra i 65 e i 67 anni, non saranno applicate deroghe sulle aliquote di rendimento della parte retributiva della pensione. Lo chiarisce l’Inps, ricordando che le modifiche introdotte dalla legge di Bilancio 2024 si applicano anche alle cessazioni dal servizio a partire dal 2025. Le aliquote di rendimento stabiliscono la percentuale di pensione calcolata in base agli anni di servizio e allo stipendio percepito: con la legge 30 dicembre 2023, n. 213, queste aliquote sono state aggiornate, ma la loro applicazione resta obbligatoria per chi esce dal lavoro tra i 65 e i 67 anni, mentre restano escluse solo le pensioni di vecchiaia conseguite dopo il raggiungimento del limite ordinamentale (cioè l’età prevista dagli ordinamenti per la cessazione obbligatoria dal servizio).

I cambiamenti con la legge di bilancio 2025

La legge di Bilancio 2025 ha innalzato l’età ordinamentale da 65 a 67 anni e ha introdotto la possibilità per le pubbliche amministrazioni di trattenere il personale fino a 70 anni, previo accordo con il lavoratore. La deroga rimane valida solo in casi particolari: pensioni di vecchiaia per dipendenti di datori di lavoro che hanno perso la natura pubblica ma hanno mantenuto l’iscrizione alla Cassa, o dimissioni intervenute dopo il limite ordinamentale, ma prima del termine del trattenimento in servizio. Per chi ha meno di 15 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e non ha diritto alla deroga, le pensioni calcolate con il sistema retributivo applicheranno un’aliquota fissa del 2,5% per ogni anno di anzianità contributiva.

Il Tfr potrebbe integrare gli anni necessari al raggiungimento della pensione

Sul fronte dell’uscita anticipata, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha proposto di utilizzare il Tfr (trattamento di fine rapporto) accumulato presso l’Inps come integrazione per raggiungere la soglia minima necessaria per andare in pensione a 64 anni. Attualmente, solo chi rientra nel sistema contributivo (chi ha iniziato a versare contributi dopo il 1995) può accedere alla pensione anticipata a 64 anni se il reddito da pensione supera tre volte l’assegno sociale (circa 1.616 euro). La proposta di Durigon consentirebbe di calcolare anche il Tfr accumulato come rendita mensile, permettendo l’anticipo dell’uscita dal lavoro anche a chi appartiene al sistema misto (contributivo e retributivo).

Le critiche di Cgil e Cisl

Le reazioni alla proposta sono state per lo più critiche: la Cgil denuncia che usare il Tfr significherebbe far pagare ai lavoratori il costo della pensione anticipata, mentre la Cisl invita a non cambiare le regole senza un accordo con i sindacati. Le opposizioni e i Cinque Stelle hanno sottolineato che i lavoratori rischierebbero di perdere sia la liquidazione sia il calcolo retributivo della pensione, penalizzandoli doppiamente.

Le misure consolidate: non aumenterà l’età pensionabile

Al momento, alcune misure sembrano invece consolidate: non scatterà nel 2027 l’aumento di tre mesi dell’età pensionabile legato alla speranza di vita, confermando quindi i 67 anni per la pensione di vecchiaia e 42 anni e 10 mesi di contributi per la pensione anticipata (41 anni e 10 mesi per le donne). Probabile anche la conferma del bonus Giorgetti, che premia chi sceglie di restare al lavoro oltre i requisiti minimi, con il versamento in busta paga dei contributi Inps (9,19%) esentasse.

Il destino di Quota 103

Al contrario, Quota 103 (pensione a 62 anni con 41 anni di contributi) sembra destinata a scomparire, dopo il flop del 2024 (solo 1.153 pensioni liquidate), mentre Opzione donna potrebbe essere rivista, anche se finora ha avuto scarso seguito. Tutte le proposte dovranno comunque essere vagliate dalla Ragioneria, considerando che solo la sospensione dei tre mesi di aumento dell’età richiederebbe circa un miliardo di euro di copertura.

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