Donald Trump e lo scherzetto di Panama: i porti del Canale rimangono in mano alla Cina. Ed è pronta un’asta anche tra i Paesi europei


Lo scontro tra Cina e Stati Uniti per il controllo sul Canale di Panama è più vivo che mai. Dopo mesi in cui Donald Trump sembrava aver imposto il suo volere e ottenuto grandi vittorie facendo la voce grossa, Panama sembra essere tornata a fare il doppio gioco. Per il momento rimane in stallo la maxi-offerta da 23 miliardi che una cordata guidata dal fondo americano BlackRock aveva presentato per mettere le mani sui due porti controllati dalla società Hutchinson, di Hong Kong ma nel pugno del Partito comunista cinese. Così come rimane parcheggiata l’idea di stracciare d’ufficio per presunte inadempienze burocratiche le concessioni di quei terminal che il gruppo asiatico gestisce dal 1997. Permettendo poi l’assalto ai migliori offerenti (tendenzialmente a stelle e strisce). In tutto questo il governo panamense, mentre si tiene buone le due superpotenze, sta tentando di ampliare la partita anche ai maggiori giocatori europei.
L’assalto della cordata BlackRock-Msc e il doppio gioco di Panama
Fin dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, gli occhi degli Stati Uniti erano ben puntati sui due porti principali agli estremi del Canale, quelli di Cristobal e Colon. In mano al colosso Hutchinson Port Holdings, multinazionale su cui sono fortissime le influenze del governo centrale cinese, erano in procinto di passare sotto bandiera americana quando BlackRock, con la svizzera Msc, aveva bussato con una maxi offerta per acquistare il controllo di 41 terminal marittimi in tutto il mondo, tra cui i due panamensi. Un’offerta che Panama, che gestisce il 5% del traffico navale globale lungo il suo fiume artificiale, aveva inizialmente accolto di buon grado. Quando sembrava tutto fatto – tanto che Trump parlacinava di «riprenderci il Canale» – Pechino ha messo un piede nella porta, pretendendo che anche il gigante statale cinese Cosco diventasse partner dell’acquisizione. Ora, mentre la situazione rimane congelata, è il governo locale a fare la prima mossa: offrire la costruzione e la gestione ventennale di due nuovi porti. L’obiettivo è chiaro: «Attirare una serie di altri potenziali operatori». Tradotto, scatenare un’asta all’ultimo dollaro a cui partecipino anche i colossi europei, dal danese Moller-Maersk al francese Cma Cgm.
Il Canale di Panama e l’iniziale egemonia americana
«La Cina ha il controllo del Canale di Panama, ma noi non l’abbiamo dato alla Cina. L’abbiamo dato a Panama e ce lo stiamo riprendendo». Con queste parole Donald Trump, il 4 marzo 2025 di fronte al Congresso, metteva nero su bianco la lotta economica che Washington e Pechino stanno ingaggiando da tempo per un Paese di soli 75mila chilometri quadrati e con un Pil 400mila volte più piccolo del loro. Il motivo è semplice: il Canale di Panama. Un fiume artificiale lungo 82 chilometri e largo 92 metri nel suo punto più stretto, che venne costruito (e gestito) dagli Stati Uniti all’inizio del Novecento per evitare di dover circumnavigare il Sud America. Nel 1999, ventidue anni dopo un trattato firmato dal presidente Jimmy Carter, gli Usa hanno ceduto il controllo del passaggio a Panama. Negli anni il Paese centroamericano lo ha trasformato in uno dei principali “chokepoints”, strettoie naturali nevralgiche per le rotte navali. Dal Canale di Panama passano oltre 14mila navi all’anno: la tariffa da pagare, che a Panama nel 2024 ha fruttato 5 miliardi di dollari, è pari al 6% del Pil annuo del Paese.

L’influenza americana e i fantasmi cinesi
Ma se è tutto in mano a Panama, come possono Cina e Stati Uniti contendersi l’egemonia sul Canale? Ai due estremi della straordinaria opera ingegneristica, sull’Oceano Pacifico e sul Mar Caraibico, sorgono cinque porti e numerosi depositi di container con una capienza complessiva di oltre 8 milioni di unità. È su questi che si gioca la partita per tramite di aziende o giganteschi conglomerati, nel caso cinese finanziati lautamente dal governo centrale. Al momento gli Stati Uniti controllano un solo terminal grazie alla Ssa Marine di Seattle. La Cina ha invece allungato le sue mani sui due porti di Cristobal e Colon gestiti dalla Hutchinson Port Holdings. Al contempo ha visto collassare di fronte ai suoi occhi l’accordo che aveva dato il controllo dell’Isola Margarita, isolotto strategico sul Mar Caraibico, a un consorzio cinese con a capo il gruppo Landbridge
Gli Usa nel Canale di Panama e il presunto «controllo cinese»
Secondo Trump, come ha ribadito più e più volte, ormai il Canale di Panama è caduto nelle mani dei cinesi. Ma è davvero così? Guardando rapidamente i numeri, la risposta è ovvia: no. Secondo le statistiche fornite dall’amministrazione del Canale, nell’anno fiscale 2024 il 74,7% dei container che hanno attraversato il sistema di chiuse proveniva da o era diretto verso gli Stati Uniti. La quota cinese è invece ferma al 21,4%. Lo stesso governo preferisce storicamente fare affari con Washington: nel 2023 l’export verso gli Usa valeva 5,3 miliardi, contro i 4,4 miliardi verso la Cina. Eppure, se si guarda lo storico degli ultimi otto anni, è evidente che l’interesse di Pechino per quello strettissimo lenzuolo di terra sia schizzato alle stelle. Per capire come bisogna fare un po’ di storia.

I miliardi cinesi e l’amicizia con Panama
Dal 2017 al 2021, le esportazioni panamensi verso il gigante asiatico sono passati da soli 43 milioni di dollari a oltre un miliardo. Il momento in cui Pechino ha invertito la tendenza – il 2017 – non è casuale. In quell’anno, infatti, la postura internazionale di Panama è cambiata radicalmente con l’interruzione dei rapporti diplomatici con Taiwan e l’adesione alla Belt and Road Initiative, la «nuova via della seta» cinese. Con il presidente Juan Carlos Varela, Panama ha spalancato le porte agli investimenti del Dragone, che non si sono lasciati di certo intimidire dalla vicinanza con gli Stati Uniti. Dalla Cina sono arrivati miliardi per una nuova ferrovia, un porto per navi da crociera, una nuova linea metropolitana a Panama City e un quarto ponte sul Canale. Ma soprattutto per il Panama Colon Container Port, un mega terminal che il consorzio guidato dal cinese Landbridge Group avrebbe dovuto costruire con un esborso di 900 milioni di dollari. L’amicizia è stata siglata ufficialmente nel 2018, quando Xi Jinping è diventato il primo leader cinese a visitare Panama.
L’ombra di Pechino sui nuovi progetti
Il tentativo di espansione egemonica cinese non è piaciuta a Washington. Nel 2019, quando Laurentino Cortizo è diventato il presidente di Panama, il piccolo Paese centroamericano ha cambiato bandiera: sospeso il progetto ferroviario, messo in fase di stallo i negoziati di libero scambio e revocato i diritti di costruzione a Landbridge. Ufficialmente all’azienda privata cinese era contestato di aver investito un quinto del denaro promesso, ma sulla decisione hanno evidentemente pesato – e non poco – gli stretti legami della società con il Partito comunista cinese. Per dare un ordine di grandezza: a compiere il servizio di sicurezza all’interno della Landbridge è presente una «milizia armata popolare», distaccamento dell’Esercito popolare di liberazione cinese. Dall’altra parte, però, nel 2021 lo stesso Cortizo ha rinnovato per altri 25 anni le concessioni che permettevano alla Hutchinson Port Holdings di gestire i due porti di Balboa e Colon dal 1997 tramite la Panama Ports Company.
La pressione di Trump e il voltagabbana di Panama
Di proprietà di una famiglia di miliardari di Hong Kong, la Hutchinson si dice sia tenuta strettamente in pugno dal governo cinese che, in nome della «sicurezza nazionale», può costringere aziende private della regione amministrativa speciale a conformarsi alle sue richieste. È per questo che il 2 febbraio 2025 il neo segretario di Stato americano Marco Rubio non ha tardato a volare a Panama City. Secondo Donald Trump, infatti, dato che gli americani avevano costruito il canale era giusto che le loro navi passassero gratuitamente o pagano tariffe scontate. Una richiesta ovviamente non esaudita dal presidente José Raul Mulino, in carica dal 2024, che però ha ceduto su altri fronti. Panama si è ritirato dalla Belt and Road Initiative cinese, ha chiuso il “Darien Gap“, noto passaggio nella giungla che i migranti dalla Colombia usano per raggiungere il confine texano, e ha consentito all’esercito americano non solo di passare gratuitamente attraverso il canale ma anche di compiere esercitazioni congiunte nelle vicinanze. Piccole vittorie che avevano forse illuso la Casa Bianca di aver finalmente riportato dalla sua parte il governo di Panama City. Lo stallo attuale, che dura ormai da mesi, e la volontà dell’amministrazione di gettare l’amo fino in Europa rende evidente il contrario. La mano vincente ce l’ha chi controlla direttamente il Canale, gli altri giocatori – Trump e Xi su tutti – devono sperare di avere abbastanza fiches da giocarsi.