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Cecilia Sala e la mutazione dei giovani israeliani: «Sono più a destra e negano quello che accade a Gaza»

01 Settembre 2025 - 06:43 Alba Romano
Cecilia Sala
Cecilia Sala
La giornalista racconta la sua prigionia in Iran: «Ci tornerò quando cadrà il regime»

Cecilia Sala ha scritto un nuovo libro che si chiama I figli dell’odio. Oggi spiega ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera che si chiama così perché «sono affezionata, nel mio lavoro, agli scontri generazionali nei luoghi in cui vado. A Hebron ho visto le ragazze delle scuole medie con uno striscione che diceva: se tua moglie e i figli che ti ha dato non sono ebrei, cacciali di casa. L’idea che ragazze di tredici anni possano avere questa preoccupazione mi ha molto colpito».

E il popolo israeliano ha subito una mutazione: «I giovani non conoscono i palestinesi, anche se vivono appiccicati a loro. Sono decisamente più a destra non solo dei fondatori laburisti, ma dei loro padri, che credevano ai due Stati. In Iran i giovani sono più liberali dei padri. In Israele molti giovani sono più incattiviti dei genitori quando avevano la loro età. Negano quello che sta accadendo a Gaza».

Giovani israeliani e palestinesi

«È vero che anche i palestinesi negano quello che ha fatto Hamas. Ti dicono: “Non è possibile che abbiano ucciso donne e bambini, perché il Corano lo vieta”», aggiunge Sala. Che poi racconta di un ragazzo palestinese a cui un cecchino ha amputato la mano destra con una fucilata: «È una punizione molto diffusa, di una crudeltà quasi perversa, anche se efficiente dal loro punto di vista: un maschio senza la mano destra non potrà mai fare il miliziano. Ma l’odio che monta è qualcosa di indelebile. Ogni minuscola azione, anche solo accenderti una sigaretta, ti ricorda quello che hai subito».

A Gaza però non vogliono più Hamas: «Lo dicono i sondaggi palestinesi: nessuno vuole essere governato da chi è al governo. A Gaza sono consapevoli che Hamas ha tirato loro addosso i devastanti bombardamenti israeliani. Ma in Cisgiordania il governo di Fatah è considerato complice dell’occupazione. Il poliziotto buono di Israele».

La guerra civile

Israele è sull’orlo di una guerra civile: «Non penso la vedremo, perché la parte di Israele che crede nello Stato di diritto farà di tutto per evitarla. Ma l’altra parte, quella estremista e messianica, per evitarla non fa nulla: l’ultima volta che sono stata in Cisgiordania, a fine luglio, i soldati israeliani portavano il passamontagna con 40 gradi non per il timore di rappresaglie palestinesi, ma per paura di rappresaglie da parte dei “loro” estremisti». Lei, in questo momento, non può tornare in Iran: Sono sicura che prima di andare in pensione ci tornerò. E nel frattempo la Repubblica islamica sarà caduta».

Come fa a dirlo? «Non sarà facile, e non sarà domani; ma il regime cadrà. Perché la grande maggioranza degli iraniani è giovane. E la grande maggioranza dei giovani è contro il regime. Certo, non hanno armi. L’Iran non è la Siria o la Libia, non è diviso tra tribù e fazioni armate. Le armi le hanno i pasdaran. Anche se Israele ammazza i capi militari, non c’è un’opposizione organizzata per annientare 200 mila pasdaran. Che però sanno di essere deboli. Sanno che prima o poi perderanno il potere. Sanno di aver perso la nuova generazione. Anche se prima di accettarlo si batteranno».

L’arresto

Poi racconta del suo arresto: «Sto registrando un podcast per Chora seduta sul letto. Un pasdaran con cui avevo appuntamento mi ha appena detto che non può incontrarmi, perché in città c’è troppo smog. Intuisco che qualcosa non torna. Bussano alla porta. Rispondo che non ho bisogno di nulla. Bussano ancora. Apro. Capisco subito quello che stanno per farmi. Mi prendono i soldi, il passaporto, il telefonino. Mi incappucciano. E mi portano via. Mi rendo conto della cosa più terrificante». Ovvero «Non avere nessun potere sul mio destino. La consapevolezza che non conti più nulla, non puoi fare nulla per te stessa, sei nelle mani di persone di cui non ti puoi fidare, e l’unica speranza è che nel tuo Paese si diano da fare per te».

L’ingresso a Evin

Quando si entra nel carcere di Evin «ti spogliano. Devi fare il solito squat nuda. Sul pavimento sotto il metal detector sono dipinte le bandiere americana e israeliana, che devi calpestare. Gli uomini vengono picchiati. Tutti, sistematicamente. Le celle per gli interrogatori sono chiuse e insonorizzate, ma a volte vengono aperte, e senti le grida dei torturati. Anche le donne a volte vengono bastonate. A me non è accaduto. Ma sul muro della mia cella c’era una grande macchia di sangue. Versata dalla donna che era lì dentro prima. Non so se fosse stata picchiata, o si sia ferita da sola».

«Quando erano aperte sia la feritoia della mia cella, sia la feritoia della cella di fronte, potevo non vedere ma sentire la mia compagna di prigionia. E la sentivo prendere la rincorsa, per quanto si possa fare in un loculo di due metri, e gettarsi con tutte le sue forze con la testa contro la porta blindata. Sperando di fracassarsi il cranio e morire».

La confessione

Sala dice che gli iraniani volevano «che confessassi di essere una spia. Se dev’essere scambiata con qualcuno, una spia vale più di una giornalista. Ma io conoscevo la storia dell’iraniano di cittadinanza svedese che, indotto dopo due anni a confessare il falso, da otto anni è rinchiuso a Evin nel braccio della morte, ridotto a un fantasma. Certo, io ho dovuto resistere soltanto ventuno giorni. Se i tuoi sono bravi a liberarti, ce la fai. Per questo io sono stata fortunata. Ma se ti spezzano, e tu confessi, allora è finita».

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