Massimo D’Alema nell’ultimo anno non è riuscito a vendere nemmeno una bottiglia del suo vino a Xi Jinping e ai cinesi


Massimo D’Alema in un anno non è riuscito a vendere nemmeno una bottiglia del suo vino ai cinesi. Nel 2024 gli affari della Silk Road Wines, che l’ex premier italiano ha costituito nel 2019 con i suoi due figli, e la famiglia del suo enologo di fiducia, Riccardo Cotarella, sono precipitati. I ricavi dalle vendite e dalle prestazioni sono stati in 12 mesi zero euro. Alla voce “altri ricavi” è invece arrivato un euro non si sa da chi, ed è tutto quello che è stato incassato. Non che in precedenza la società facesse faville, ma nel 2023 almeno aveva incassato 213.554 euro, portando a casa anche un piccolo guadagno di 29.691 euro. Non incassando nulla ovviamente l’ultimo bilancio si è chiuso in rosso, sia pure limitando la perdita a 4.206 euro.
Gli affari partiti sulle ali della Via della Seta di Conte e precipitati con la Meloni
La società di D’Alema e Cotarella ha lo scopo ufficiale di esportare i loro vini genericamente fuori dall’Unione europea, ma è evidente dal nome che il paese target fosse fin dall’inizio la Cina, sfruttando l’accordo sulla “Via della Seta” siglato con l’Italia di Giuseppe Conte. E in effetti i primi anni quell’export sembrava funzionare, aumentando sempre i fatturati sia pure per cifre non clamorose. Poi però è arrivata Giorgia Meloni, ha disdetto quell’accordo con la Cina e così è precipitata la situazione. È anche per questo motivo che D’Alema è tornato quest’anno in Cina per cercare di riaprire canali per la sua società di export. Fino all’ultimo clamoroso viaggio alla parata militare di Xi Jinping, con annesso un ancora più clamoroso spot alle virtù geopolitiche della Cina e del suo autocrate.

L’export italiano di vino in Cina caduto nel 2024, boom per Francia, Cile e Australia
Bisogna dire che non è semplicissimo fare bere vino, e ancora più quello italiano, ai cinesi. Il mercato ha potenzialmente più di un miliardo di consumatori, ma il vino non è nelle corde dei consumi della popolazione. Dieci anni fa sembrava all’improvviso diventato di moda, con un vero boom di importazioni nel 2017. Da lì in poi però il fenomeno si è sgonfiato e le vendite sono ogni anno diminuite. Nel 2024 però il mercato è improvvisamente girato, con un aumento del 13,6 per cento dei litri di vino importati e addirittura del 37% del fatturato della vendita sul mercato cinese, arrivato a 1,4 miliardi di euro. L’Italia però non solo non fa la parte del leone, avendo il 6,6% del mercato ampiamente alle spalle di Francia, Cile e Australia, ma è andata in controtendenza, fatturando in Cina 97 milioni di euro con una caduta del 9% rispetto all’anno precedente.
I cinesi non amano le bollicine e preferiscono i vini rossi importanti (anche Xi)
I consumatori cinesi sono molto esigenti, e stanno attenti sia al prezzo che alla qualità del vino. Per vendere su quel mercato bisogna avere brand riconoscibili anche in Cina e ben diffusi sul web, perché è lì che i cinesi si informano prima di procedere all’acquisto: se una etichetta non ha un suo sito e le recensioni necessarie anche sull’online cinese, difficilmente potrà vendere una sola bottiglia su quel mercato. E attenzione: i cinesi non amano quasi nulla le bollicine e in genere preferiscono vini rossi pregiati e corposi, e acquistano assai meno quelli bianchi. Il boom del rosso è stato aiutato anche dalla scelta dello stesso Xi Jinping di brindare celebrando il compleanno del partito comunista cinese con un bicchiere di rosso davanti a tutti i funzionari del suo partito.

D’Alema e il suo enologo per spiegare la débacle la buttano in geopolitica
Nella nota integrativa al bilancio dell’anno della debacle D’Alema e Cotarella la buttano un po’ in geopolitica, descrivendo le incertezze internazionali: «Nel 2024», scrivono, «l’economia mondiale ha attraversato una fase di transizione caratterizzata da una crescita moderata, influenzata da complessi fattori geopolitici e monetari. Le tensioni internazionali ed i conflitti in Ucraina e Medio Oriente continuano a condizionare gli scambi commerciali, mentre le principali banche centrali mantengono politiche monetarie prudenti. Il quadro complessivo rivela una fase di assestamento globale, dove l’incertezza geopolitica, l’evoluzione delle catene di approvvigionamento e la trasformazione dei modelli energetici disegnano uno scenario economico in costante ridefinizione». Ma poi rassicurano: «gli Amministratori hanno maturato una ragionevole aspettativa che la società potrà continuare la sua esistenza operativa in un futuro prevedibile, mantenendo altresì la capacità di costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito. Pertanto, si ritiene appropriato il presupposto della continuità aziendale». Nella speranza che gli spot di D’Alema a Pechino portino l’agognato frutto.