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«Perché tre mesi di vacanza da scuola sono un lusso che non possiamo permetterci», lo scrittore e prof Galiano critica il modello italiano. E parte la polemica

08 Settembre 2025 - 13:38 Ygnazia Cigna
enrico galiano scuola tre mesi vacanza
enrico galiano scuola tre mesi vacanza
Il (problematico) ritorno a settembre secondo il noto autore e la sua replica dopo l'ondata di commenti

Ogni settembre, puntuale come un rito, si ripresenta lo stesso scenario: uffici e scuole che riaprono dopo mesi di genitori trafelati e nonni trasformati in baby-sitter a tempo pieno. Enrico Galiano, docente e scrittore seguito da migliaia di lettori, ha deciso di mettere nero su bianco ciò che molti vivono ogni anno. Nel suo editoriale per Il Libraio scrive senza giri di parole: «Tre mesi di vacanza non sono più un diritto al riposo, ma un lusso che non ci possiamo permettere». La sua riflessione si apre con una metafora vivace, quella del «genitore di settembre», ovvero «sguardo allucinato, il badge aziendale al collo e due figli appesi come trolley ai lati». Una fotografia ironica e amara che racconta la condizione di chi, tra fine agosto e metà settembre, deve conciliare lavoro e figli ancora a casa. «I più fortunati hanno i nonni, ormai trasformati in una specie di Agenzia Interinale per l’Infanzia. Gli altri devono inventarsi soluzioni: dal “porta tuo figlio in ufficio day” al “lasciamo che si allevino a vicenda nel cortile condominiale”», aggiunge Galiano.

Il (problematico) ritorno a settembre secondo Galiano

Ma c’è un altro tema che pone lo scrittore. Se per alcune famiglie i mesi estivi significano viaggi studio, campus sportivi e laboratori, per altre si riducono a giornate davanti alla televisione o al tablet. È qui che, secondo il docente, la pausa smette di essere riposo e diventa ingiustizia. Non solo: la scuola a settembre riparte zoppicando, costretta a recuperare settimane intere di perdita di apprendimento, che colpisce soprattutto i ragazzi meno stimolati. «La mente è un muscolo» scrive il professore, «e tre mesi senza allenamento rischiano di trasformarla in un budino». Il nodo, ricorda, è storico: la vacanza lunga è un’eredità agricola, «quando servivano braccia nei campi per mietitura e vendemmia, e i ragazzi venivano liberati da scuola per dare una mano». Un modello che oggi, agli occhi dello scrittore, appare anacronistico. Non a caso, aggiunge, i confronti europei parlano chiaro: «In Germania i giorni di vacanza sono 46, in Francia 56, in Spagna 84».

L’ondata di commenti di genitori e insegnanti

Ma la posizione di Galiano ha suscitato un’ondata di commenti tra insegnanti e genitori, specchio di una frattura che attraversa la società. Molti docenti, pur riconoscendo le problematiche che derivano da una pausa estiva così lunga, spostano il focus del problema sulle condizioni materiali del lavoro scolastico. «Non si può fare lezione con 50 gradi all’ombra», scrive una professoressa, ricordando l’assenza di condizionatori e spazi adeguati. E ancora: «Se ci togliete i due mesi di ricarica estiva, diventiamo tutti pazienti della neuro». Tra le proposte dei docenti emergono richieste precise: stipendi adeguati alla media europea, corsi di aggiornamento seri, e soprattutto strutture adeguate e condizioni lavorative migliori. Anche molti genitori hanno preso parola. C’è chi, come commenta un padre, firmerebbe «subito» per «un calendario con le stesse ore annuali di scuola distribuite meglio: meno giornate lunghe fino alle 14 e più settimane coperte a giugno e settembre. Non una scuola-fotocopia, ma spazi aperti il pomeriggio con sport, doposcuola, attività creative».

Spazi fatiscenti e comuni responsabili

Altri, invece, difendono i tre mesi come tempo prezioso di riposo e vita familiare. «L’estate non è troppo lunga, è un giusto momento di pausa dopo un anno scolastico già tra i più intensi d’Europa», scrive una docente, che ci tiene a sottolineare la responsabilità dei Comuni, accusati di non garantire servizi accessibili: campi estivi popolari, ludoteche, buoni baby-sitter. Senza dimenticare le carenze strutturali: aule senza tende, scuole senza giardini, edifici non climatizzati. «Prima sistemassero le strutture, poi se ne riparla», ribadisce un altro commento. C’è però chi dà ragione a Galiano, ricordando che i tre mesi di vacanza erano pensati per un’Italia diversa, fatta di famiglie con mamme casalinghe. O chi denuncia il rischio di un superenalotto formativo: corsi privati estivi e attività esclusive che trasformano il diritto allo studio in privilegio di pochi.

La replica di Galiano alle polemiche

Travolto dalle polemiche, Galiano ha deciso di rispondere sui social: «Non credo che la soluzione sia semplicemente tenere aperta la scuola d’estate», chiarisce subito. «Avete ragione a sottolineare che senza edifici adeguati, spazi verdi, condizionatori, stipendi giusti e un serio investimento sulle condizioni di lavoro degli insegnanti, parlare di lezioni estive rischia di sembrare una provocazione più che una proposta. Quello che volevo mettere in discussione è un’altra cosa: il modello dei tre mesi di vacanza consecutivi, che è un retaggio agricolo e che oggi crea più problemi che benefici. Non solo per le famiglie che non sanno come gestire i figli a fine agosto, ma soprattutto per i ragazzi stessi: la ricerca ci dice che dopo un periodo così lungo senza stimoli scolastici si perde fino a un terzo di ciò che si è imparato. È la famosa summer slide, e pesa di più su chi parte già in svantaggio», scrive il docente. «Detto questo, non credo che la scuola debba trasformarsi in un “parcheggio” o sostituirsi ai genitori. Penso piuttosto che vada ripensato il calendario scolastico nel suo insieme. Ma per farlo, riconosce lo stesso Galiano, serve ripensare le politiche familiari e sociali. Servono servizi accessibili, centri estivi pubblici, spazi sicuri e attrezzati anche per i periodi di pausa durante l’anno. Non possiamo continuare a delegare tutto alle famiglie (o ai nonni) né scaricare tutto sulla scuola. Il mio non era un attacco agli insegnanti, ma un invito ad aprire un dibattito serio su un modello che rischia di aumentare le disuguaglianze».

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