Omicidio di Gemona, il racconto di Lorena Venier: «Mailyn lo strangolava con i lacci degli scarponi e io l’ho aiutata. Poi ho fatto a pezzi il corpo da sola»


«Alessandro era supino e Mailyn ha puntato i piedi sulle sue spalle, ha messo i lacci degli scarponi intorno al collo e ha cominciato a tirare». Così inizia il racconto lucido e freddo di Lorena Venier, che ripercorre in dettaglio gli ultimi istanti di vita del figlio Alessandro, prima di essere ucciso e fatto a pezzi dalla madre e dalla compagna. «In quel momento, mi sono allontanata perché la bambina stava piangendo e mi sono recata da lei. Quando sono riuscita a tranquillizzarla sono tornata in soggiorno e Mailyn stava ancora stringendo i lacci intorno al collo e io l’ho aiutata. Alessandro in quel momento stava esalando gli ultimi respiri».
Il piano per uccidere Alessandro Venier
Dai documenti sulle imputazioni di Lorena Venier, la madre, e di Mailyn Castro Monsalvo, la compagna, emerge che la serata era iniziata con un tentativo di avvelenamento: «Un blister intero di sonnifero sciolto in una limonata». La soluzione preparata dalle due donne non aveva sortito gli effetti sperati, quello di addormentare Alessandro Venier, per cui madre e compagnia hanno in seguito provato con «due punture di insulina all’addome» e con la ripetuta pressione di un cuscino sul volto. A quel punto, quando era in stato soporoso ma ancora vivo, Alessandro è caduto a terra con la testa rivolta verso l’altro: «Mailyn ha preso due lacci di scarponi e glieli ha stretti al collo»
Il corpo fatto a pezzi solo dalla madre
Erano circa le 21.30 quando l’uomo ha smesso di respirare. Poi, la decisione di far sparire il corpo. Lorena ha raccontato di aver tentato di infilarlo in un bidone, senza riuscirci: «Mi è allora venuto in mente di dovergli tagliare le gambe. Ho preso un coltello da cucina, ma non avevo pensato alle ossa. Allora ho pensato di tagliare l’addome, ma c’era la spina dorsale. Quindi ho utilizzato una sega per la legna». Lorena Venier specifica in questo passaggio come sia stata l’unica responsabile dello smembramento del corpo del figlio: «Questa opera l’ho posta in essere io da sola, rifiutando l’aiuto che mi offriva Mailyn». Le parti del corpo sono state infine messe nel bidone e ricoperte di calce, acquistata su Amazon nella notte. «Abbiamo completato tutto verso l’una di notte del 26 luglio», si legge ancora.
La confessione e i tentativi di farla tacere
Nonostante il tentativo di tornare alla normalità, Lorena nei giorni successivi era perfino tornata al lavoro in ospedale, il peso di quanto accaduto ha schiacciato Mailyn. A distanza di quattro gironi, nella notte tra il 30 e il 31 luglio, e poi di nuovo la mattina, ha chiamato il 112. La prima volta la suocera era riuscita a bloccarla, convincendola a dire che si trattava di falsi allarmi per rumori in casa. Ma la mattina seguente, quando i carabinieri sono arrivati nella villetta, Mailyn ha trovato la forza di confessare. Secondo gli atti, Lorena, che si trovava in un’altra parte della casa, ha provato a dissuaderla, gridandole: «Mailyn … Mailyn, ricordati quanto ti voglio bene». Mailyn, però, ha raccontato tutto agli inquirenti. Quella confessione, come quella successiva di Lorena, è stata registrata dai carabinieri con un cellulare: 26 minuti e 10 secondi di audio considerati dal gip pienamente utilizzabili come prova. Mailyn non ha però più parlato con gli inquirenti dopo la confessione sul luogo del delitto, e anche l’interrogatorio previsto per ieri, 11 settembre, è saltato. Secondo il suo legale il suo stato emotivo è ancora troppo fragile.