Paolo Mendico suicida per i bulli: i disegni osceni nei bagni, gli incontri con la psicologa, e quella volta che la maestra lo rimproverò: «Hai sempre ragione tu?»


Nel bagno della palestra dell’Itis “Pacinotti” di Santi Cosma e Damiano, in provincia di Latina, ci sono numerosi scarabocchi a penna e pennarello. Tra battute e frasi filosofiche, ci sono anche disegni osceni. Vicino delle scritte che citano tutte il nome di Paolo Mendico, il 14enne che si è tolto la vita nella sua cameretta la sera prima del rientro a scuola. «Disgraziati sono e rimarranno, mio figlio ci ha rimesso la vita», è il grido di dolore del padre, Giuseppe, al termine dell’ispezione della scuola condotta dagli inviati del ministro Giuseppe Valditara ieri pomeriggio, 16 settembre.
Gli insulti iniziati alle elementari
Al sopralluogo, durato circa 4 ore nella sede distaccata dell’Itis che Paolo frequentava, erano presenti papà Giuseppe e mamma Simonetta ma anche le due sorelle e il fratello del ragazzo. Come la mattina di fronte ai carabinieri, la famiglia ha ripercorso anni di insulti, prese in giro e violenze iniziate dalle elementari, continuate lungo i tre anni di medie e culminati in prima liceo. «Gli rompevano le matite, gli rubavano i quaderni e glieli scarabocchiavano, gli prendevano a calci lo zaino. Una volta è stato anche sbattuto contro il muro». E poi gli insulti, perché Paolo era gracile e aveva i capelli biondi e lunghi: «Paoletta», «Femminuccia», «Nino D’Angelo».
La lite tra genitori e lo scontro a muso duro con la professoressa
Gli episodi più gravi si sono verificati alle elementari. È lì che, mentre Paolo veniva minacciato con un cacciavite di plastica, la maestra avrebbe fomentato lo scontro: «Rissa, rissa». È lì che, durante un faccia a faccia con un compagno di classe, il 14enne sarebbe stato rimproverato a muso duro: «Vuoi sempre aver ragione tu». Poi le medie. Anche qui un crescendo di atti denigratori fino a costringere Paolo Mendico a cambiare scuola in terza media: «C’era un bullo che i professori proteggevano», ha raccontato agli ispettori Giuseppe Mendico. Lo chiamava «ragazzo con i capelli alla paesana», tanto che il padre era dovuto intervenire scatenando l’ira e uno scontro su WhatsApp con i genitori dell’altro studente.
La rabbia dei genitori: «La vicepreside lo aveva invitato nel suo ufficio, sapeva»
Infine il liceo: «La vicepreside sapeva tutto. Aveva anche chiesto a mio figlio di andare da lei ogni volta che succedeva qualcosa». Di provvedimenti concreti, però, nessuna traccia: «Al massimo la minacciava di sospenderli, ma di fatto non è successo nulla». I disegni osceni, gli scherzetti, le battute di pessimo gusto: «Come si doveva sentire mio figlio sapendo che tutti sapevano e nessuno lo aiutava? Non dico dovessero intervenire al primo, ma se avessero preso provvedimenti al secondo forse quei ragazzi avrebbero smesso e mio figlio sarebbe ancora vivo»
La classe di Paolo: «Era caotica, con molte difficoltà»
La scuola per il momento ha alzato gli scudi. «Non c’è mai stata nessuna denuncia, e mai hanno chiesto un colloqui con me», ha ribadito la dirigente Gina Antonietti. «Avevano scelto la nostra scuola perché inclusiva. Paolo spesso andava allo sportello di ascolto della scuola, ma la psicologa non ha mai ravvisato elementi sufficienti per far scattare un protocollo di emergenza». La situazione però – ammette – non era delle più rosee: «La sua era una classe caotica, in cui sono emerse delle difficoltà. Ma mai tali da far presupporre atteggiamenti di bullismo». Eppure sufficienti da far emergere la necessità di «incontri di gruppo con la psicologa». Nelle prossime ore la specialista sarà sentita, forse insieme ad altri membri del personale scolastico nell’ambito dell’inchiesta per istigazione al suicidio.