I 60 anni di Carlo Cracco: «Ho cominciato a cucinare quando mia madre mi ha messo a dieta»


Carlo Cracco oggi compie 60 anni. E sta «meglio adesso di quando ne avevo 40. Mai stato così bene: non ho né rimpianti né rimorsi. Il tempo è misurato dai figli: vedi che crescono e capisci che diventi grande». Nell’intervista che rilascia al Corriere della Sera racconta di un ricordo da piccolo: «A 5 anni in colonia a Riccione con mio fratello più grande, dove i ferrovieri come mio papà mandavano i figli. Stavo da Dio. La domenica ci davano la torta diplomatica, l’unica gioia sul cibo, per il resto un disastro. Tornavo con tre chili in meno: per me che ero in lotta con la bilancia era un traguardo».
La passione per il cibo
La passione per il cibo è cominciata quando la madre lo ha messo a dieta: «Ha dimezzato le porzioni, per aiutarmi a perdere peso. Ho capito che se volevo mangiare dovevo infilarmi in cucina con lei che era un’ottima cuoca». La svolta. «Facevo il chierichetto e volevo andare a fare le medie al seminario: ma in casa non c’erano soldi per scuole private. Allora scelsi quella meno triste, l’istituto alberghiero». Non è andata bene da subito: «Il primo anno, nel primo trimestre avevo quattro in cucina. Ai miei, ai colloqui, dissero: “Va bene in tutto tranne che in cucina. Mandatelo a fare pratica”. Il 90% dei miei compagni era figlio di gente del settore: a me che parlavo a stento il dialetto sentirmi dire “plonge” era arabo».
I week end da Remo
Poi ha capito tutto: «Quando tornavo a casa , il sabato e la domenica, andavo da Remo, un ristorante noto di Vicenza: da 4 in pagella sono passato a 8. Facevo 12 ore di lavoro e mi addormentavo quando toccavo il letto». Ha lasciato la scuola per andare a lavorare proprio da Remo: «A 19 anni tenevo in mano la cucina. Ma non ero felice: “È tutto qua?”, mi chiedevo. Mia sorella maggiore mi parlò di un corso di Gualtiero Marchesi alla scuola di cucina Altopalato. Andammo a cena da lui e gli chiesi subito se potevo lavorare con la sua brigata. Mi cucinò a fuoco lento, ma se mi metto in testa una cosa di riffa o di raffa ci arrivo».
Gualtiero Marchesi
A quel punto si iscrisse alla scuola: «Facevo il pendolare, un giorno sì e un giorno no, da Vicenza a Milano. Partivo con il treno delle 8 e tornavo con quello di mezzanotte a Venezia, poi la corriera mi lasciava alle 2 di notte a Vicenza. Dopo un mese mi chiamò: in cucina trovai Davide Oldani. Era un tipo più aperto di me, io ero campagnolo». Marchesi gli ha insegnato «a capire i bisogni delle persone che abbiamo davanti. Era un intellettuale della cucina: pretendeva che ci relazionassimo in modo adeguato, non ammetteva che lo chef fosse un semplice bruciapadelle. Tutto quello che noi abbiamo fatto in seguito lui l’aveva già fatto: libri, tovaglie e stoviglie firmate, persino la tv. Nel 1987 condusse una trasmissione di cucina in diretta: lo seguì Davide, io mi vergognavo da morire».
Il primo locale
Poi le esperienze all’estero. E il primo posto a suo nome: «Con Bruno Ceretto aprimmo ad Alba Le Clivie che prese subito la stella. Lo rivendetti a un ottimo prezzo in due giorni, dopo che i fratelli Stoppani mi proposero di aprire a Milano in via Victor Hugo: era il 2001 ed era nato Cracco-Peck. Qualcuno mi diede del grandioso: nessuno prima di Marchesi aveva dato il proprio nome a un ristorante». Quindi l’esperienza a MasterChef: «La prima volta mi chiamarono nel 2007. Ero in cucina e risposi: “Vorremmo parlare con Cracco per un provino”. Finsi di non essere io. Ci riprovarono nel 2010». Accettò perché «era un momento di crisi. C’era stato il caso Lehman Brothers, l’Italia era cupa: andare al ristorante stellato o avere l’auto costosa era peccato. Ma feci lo stesso di tutto per non essere preso: al provino fui molto aggressivo. Mia moglie Rosa mi diceva sottovoce “anche meno”. La produzione invece era entusiasta».
La tv
«La televisione ha riempito di nuovo il ristorante: chi veniva a cena voleva tornare a casa con una foto. Ma la televisione è ripetitiva: dopo sei anni mi ero annoiato», conclude. Spesso è stato attaccato per lo spot delle patatine: «Perché non avrei dovuto farlo? Anche Marchesi mi diede il benestare. Lui stesso era stato testimonial di surgelati. Abbiamo la memoria corta e un po’ di invidia sociale». La moglie Rosa Fanti l’ha conosciuta per «un colpo di culo direi. Abbiamo quasi 20 anni di differenza e quando l’ho conosciuta ho dato retta all’1 % di possibilità che potesse andare bene. Sono innamorato: con lei condivido ogni scelta e stiamo creando la nostra azienda agraria in Romagna». Ma non è diventato milionario: «Sfatiamo questo mito: a fare il mio mestiere non diventi ricco. Sopravvivi bene».