Droni, scudo anti-missile, 600mila posti di lavoro: così l’Ue prepara la svolta per essere «pronta alla guerra entro il 2030»


«L’Europa è in battaglia: una battaglia per un continente che resti integro e in pace». Così la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen aveva fissato la sfida n° 1 di oggi per l’Ue nel suo discorso sullo stato dell’Unione il mese scorso. Ora la Commissione mette nero su bianco il piano per garantire che l’Ue quella «battaglia» sia davvero in grado di combatterla, e in fretta. Una guerra lacerante forse si è chiusa, quella di Gaza, ma altre ne infuriano nel mondo e una, in particolare, alle porte d’Europa. Non passa notte che l’esercito di Vladimir Putin non bombardi città e infrastrutture in Ucraina, sordo a ogni pressione, negoziato, ultimatum. E sono ancora negli occhi di cittadini e forze di polizia di svariati Paesi del centro-est Europa le immagini sfuggenti di droni «non identificati» sopra centri abitati, aeroporti e perfino basi militari. Russi, si presume. In ogni caso, una sinistra minaccia militare per l’Ue. Ecco perché l’Europa non può più cullarsi nell’innocenza e dunque «entro il 2030 ha bisogno di una postura di difesa sufficientemente forte per esercitare deterrenza sui suoi avversari e rispondere ad ogni aggressione», ribadisce il Piano di Preparazione per la Difesa al 2030 presentato oggi dalla Commissione Ue. Sperare nel meglio, ma essere pronti al peggio, insomma. Compresa l’eventualità di dover combattere una guerra vera e propria – con la Russia o chicchessia.
Le coalizioni tra Paesi e il modello Ucraina
«Preservare la Pace», è lo slogan che campeggia a caratteri cubitali dietro ai tre Commissari che oggi hanno presentato la Roadmap – l’Alta rappresentante Kaja Kallas, il responsabile Difesa Andrius Kubilius, la vicepresidente con delega a sicurezza e tecnologia Henna Virkkunen. Come a dire, anche a chi in questi mesi ha accusato a spron battuto le istituzioni Ue di «deriva bellicista», che l’obiettivo non è certo quello di portare il continente in guerra, ma di predisporre i mezzi per difendere a ogni costo pace e libertà. Come? Unendo le forze, innanzitutto. Perché da troppo tempo nel settore gli Stati nazionali vanno per conto loro, disperdendo risorse e investimenti preziosi e ostacolando di fatto l’integrazione dei sistemi di fesa. Per carità, si premura di precisare una volta di più la Commissione, gli Stati membri «sono e restano sovrani sulla loro sicurezza e difesa nazionale», ivi compreso su come, quanto e quando spendere in materia. Ma anche un bambino capisce che di fronte alle aperte minacce di Putin e in un mondo dove la forza torna a prevalere sul diritto «c’è un evidente bisogno di investire di più, insieme ed europeo». In concreto, dunque, la Commissione raccomanda ai governi – i cui leader discuteranno il piano la prossima settimana al Consiglio europeo – di portare ad almeno il 40% il livello di appalti congiunti nel settore della difesa entro il 2027, al 55% entro il 2030. E di svincolarsi senza troppe remore dall’abitudine/vincolo dell’unanimità battendo volentieri la strada delle «coalizioni di capacità», unendosi cioè a gruppetti di Stati sui singoli progetti industriali/militari su cui condividono idee e livello di priorità. Fare di più, meglio e con creatività, insomma. Così come ha insegnato in questi anni l’Ucraina, con successo imprevedibile. «Ingenuità innovativa, cooperazione efficace civile-militare, accresciuta capacità industriale», è la ricetta pronta all’uso che arriva da Kiev.

Aria, terra, mare: le iniziative militari più urgenti
I governi Ue sono sempre più consapevoli della sfida – e d’altra parte l’Amministrazione Usa guidata da Donald Trump nei mesi scorsi non ha lasciato loro grande spazio di manovra, «pretendendo» di fatto quell’aumento storico di investimenti in difesa sino al 5% del Pil (3,5% di spese cardine, in realtà) deciso dal vertice Nato di giugno. Qual è il valore aggiunto che può giocare l’Ue, dunque? Coordinare gli sforzi comuni, monitorare l’avanzare degli impegni, fungere da ponte anche in chiave di attrazione finanziaria con il settore privato, dice in sostanza la Commissione – che deve guardarsi dalle resistenze di più di un governo. Nell’immediato, l’esecutivo Ue inquadra inoltre quattro aree di lavoro su cui l’Europa deve colmare più urgentemente le sue lacune militari:
- La «contraerea» rispetto alla nuova arma di punta dei cieli, ossia i droni. L’Iniziativa europea di difesa sui droni punta a fare in modo che entro due anni (fine 2027) sia pienamente in funzione «un sistema avanzato multi-livello, tecnologicamente avanzato, con capacità anti-drone interoperabili per l’identificazione, il tracciamento e la neutralizzazione (di droni, ndr) così come le capacità di colpire obiettivi al suolo usando le tecnologie di droni per strike di precisione». La traduzione operativa di quel “Muro di Droni” che von der Leyen aveva evocato nel suo discorso di settembre.
- L’iniziativa anti-droni dovrà far parte del già annunciato “Eastern Flank Watch“, il progetto bandiera per dare piena copertura militare alla frontiera orientale europea non solo nei cieli, ma anche su terra e mari, che la Commissione sprona a rendere effettiva entro il 2028.
- Non solo l’Est ma l’intera Unione riguarda poi lo Scudo aereo europeo, pensato per proteggere lo spazio aereo da ogni tipo di attacco – anche missilistico -, sul modello di quanto consentono i Patriot di fabbricazione Usa o il sistema Iron Dome che protegge da anni i cieli di Israele. A capofila di quest’iniziativa proprio nelle scorse ore ha avanzato la propria candidatura la Germania.
- Ultimo ma non ultimo lo Scudo spaziale europeo, pensato per proteggere gli asset e i servizi spaziali europei. Entrambi gli “Scudi”, si noti, devono essere considerati progetti di lungo termine e ambiziosi, se è vero che non viene indicata per ora una data presunta di completamento.

Trasporti e posti di lavoro: le ricadute pratiche
Non è uno dei quattro progetti-bandiera, formalmente, ma l’altro obiettivo con esplicita “data di scadenza” che la Commissione incoraggia è la creazione di un’area comune di mobilità militare da realizzare entro la fine del 2027. Questo perché la frammentazione tra Paesi che preoccupa l’Ue non è solo di natura finanziaria, ma anche quella logistica. «È ancora troppo difficile spostare truppe ed equipaggiamenti militari attraverso l’Europa, come mostrano gli esercizi svolti dai Paesi stessi», ricorda allarmata la Commissione, che evidenzia come per paradosso l’area d’Europa più «disintegrata» in termini di reti di trasporto per uso militare sia proprio quella orientale. Una debolezza che non è più il caso di permettersi. Infine, e su un terreno ancora più «concreto» per i cittadini Ue, la Commissione raccomanda ai governi di sostenere il già lanciato “Patto per le Capacità” verso l’obiettivo di ri-formare ad impieghi nel settore della difesa 600mila persone entro il 2030 – con target intermedio di 200mila già di qui a un anno, entro il 2026. Progetti, numeri, scadenze che – ha precisato in conferenza stampa il Commissario Kubilius – l’Ue dovrà interpretare in maniera flessibile e dunque essere pronta a rivedere e modificare secondo necessità in base agli sviluppi interni così come esterni. Di tutto questo discuteranno tra una settimana a quattr’occhi i capi di Stato e di governo Ue.
Foto di copertina: EPA/ROBERT GHEMENT – La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen con il presidente romeno Nicusor Dan in visita alla base militare di Mihail Kogalniceanu (Romania) – 1° settembre 2025