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Il giallo del guanto scomparso e il ruolo dell’ex prefetto Piritore: cosa si sa (e cosa no) sull’omicidio di Piersanti Mattarella

24 Ottobre 2025 - 14:11 Filippo di Chio
guanto scomparso killer chi sono omicidio piersanti mattarella
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La nuova inchiesta mirava a estrarre da quel guanto il Dna di uno degli assassini, ma negli scatoloni dei reperti non ci è mai arrivato. Secondo i pm, a sottrarlo alle indagini sarebbe stato l'ex prefetto Filippo Piritore

Era un semplice guanto di pelle quello che uno dei due killer di Piersanti Mattarella, tuttora senza volto e senza nome, aveva lasciato sbadatamente cadere nella Fiat 127 usata per fuggire dal luogo del delitto. Un oggetto come tanti, soprattutto in una giornata fredda come quella del 6 gennaio 1980, che a distanza di anni poteva diventare la prova regina e consegnare elementi decisivi per individuare chi sparò all’allora presidente della Regione Sicilia con una calibro 38. Ma nel 2018, quando vennero riaperti gli scatoloni nell’ambito della nuova inchiesta sul delitto Mattarella dalla procura di Palermo, di quel guanto non c’era più traccia. Secondo i pm, l’artefice della scomparsa e del depistaggio sarebbe stato Filippo Piritore, ex prefetto arrestato oggi e posto ai domiciliari

Le foto del guanto e la scomparsa: il presunto ruolo di Piritore

Che quei guanti fossero stati trovati lo dimostrano gli appunti della polizia scientifica dell’epoca: «Un guanto di mano destra, in pelle di colore scuro marrone antistante al sedile anteriore destro». Lo certifica anche una fotografia scattata proprio quel 6 gennaio 1980, che ritrae gli interni della Fiat 127 che i due killer abbandonarono al termine della loro fuga dopo aver crivellato di pallottole Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale presidente della Repubblica. Secondo l’ipotesi degli inquirenti, quel guanto negli scatoloni non arrivò mai. Fu immediatamente preso in consegna da Filippo Piritore, presente sul luogo del delitto come dimostrato da un’altra fotografia scattata dalla Scientifica, per poi svanire. Il reperto, infatti, non viene mai citato in nessun «verbale di consegna o atto equivalente a firma del pm o della sua segreteria». 

I passaggi di mano secondo Piritore: che cosa non torna

Il 7 gennaio 1980 lo stesso Filippo Piritore, che aveva preso con sé tutti i beni rinvenuti nella Fiat 127 rubata dai killer della mafia per evitare l’identificazione, restituì gli oggetti al legittimo proprietario dell’auto. Tra questi due pantaloni – un jeans e uno verde – delle cambiali, un orologio del fratello, un bottone nero e il libretto di circolazione. Ma non il guanto. Secondo la documentazione che all’epoca Piritore firmò, il guanto sarebbe stato recapitato dall’agente della polizia scientifica Di Natale all’allora sostituto procuratore Pietro Grasso, titolare delle indagini sull’omicidio del governatore della Sicilia. Una prassi che, secondo gli inquirenti, sarebbe fuor di ogni logica. Si tratterebbe infatti di aver consegnato un reperto potenzialmente decisivo in mano a un agente della Scientifica, non perché lo facesse analizzare ma per recapitarlo al magistrato titolare, che di persona non avrebbe ovviamente potuto procedere a nessun accertamento tecnico. 

Perché il guanto di pelle è così importante

L’importanza del guanto è aumentata con il passare degli anni. Come lo stesso Piritore ha ammesso lo scorso anno nei colloqui con la moglie, intercettati dai pm, negli anni Ottanta le tecnologie e le analisi tecniche sui reperti che potevano essere compiuti erano molto limitate. Anni luce indietro anche solo rispetto agli anni Novanta, quando venne affinata l’analisi delle tracce biologiche per estrarre il Dna, e ancor di più rispetto ai pieni anni Duemila. Lo stesso sostituto procuratore Piero Grasso aveva ammesso: «Non c’erano indagini scientifiche con cui fare approfondimenti. Non c’erano neanche a fine anni Ottanta, quando poi del caso si occupò Giovanni Falcone». La speranza della procura di Palermo, che nel 2018 era ancora sotto la guida di Francesco Lo Voi, era quella di trovare residui organici del killer all’interno del guanto, da cui potenzialmente estrarre il Dna per dare un nome a quella traccia genetica. 

Reperti scomparsi, il precedente degli spezzoni di targa

Il guanto non è però il primo reperto a volatilizzarsi nell’ambito dell’indagine sull’omicidio di Piersanti Mattarella. Dagli scatoloni dell’Ufficio corpi di reato del tribunale, e negli archivi di squadra mobile e Scientifica, erano scomparsi anche gli spezzoni di targa usati dai killer per mascherare la Fiat 127 rubata e usata nel delitto. Quei pezzi di targa – entrambi aventi PA come iniziali e due combinazioni differenti dei numeri 563091 – erano stati trovati due anni dopo l’omicidio in un covo dell’estrema destra a Torino. Reperti che davano corpo e concretezza all’ipotesi che, nonostante l’assoluzione definitiva dei terroristi neri Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini dall’accusa di essere tra gli esecutori dell’omicidio, le dita che hanno premuto il grilletto della calibro 38 possano essere state quelle di un killer neofascista. 

Cosa sappiamo sui due killer: «Occhi di ghiaccio, mentre sparava sorrideva»

Uno dei due killer, secondo le ricostruzioni a oggi accertate, si è limitato a stare al volante della Fiat 127 rubata. Solo in un secondo momento, quando la pistola usata dal complice si è inceppata, è sceso dall’auto per fornirgli una seconda arma. Poi, ricaricato a bordo il compagno, è sgommato via abbandonando l’auto con la targa camuffata a tre chilometri di distanza. Del secondo, che ha effettivamente premuto i grilletti, rimane solo un identikit vago, fornito da due scout: «Anni 22-24 circa, statura 1,65, capelli castano chiari, bocca e naso regolari. Indossava giacca a vento celeste, pantaloni attillati, scarpe beige». E poi le aggiunte di Irma Chiazzese, vedova di Piersanti Mattarella: «L’assassino aveva occhi di ghiaccio e l’andatura ballonzolante. E, mentre sparava, sorrideva». 

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