Che fine ha fatto il «Piano casa» del governo? Tito Boeri: «Meloni bocciata sul caro-affitti, ora torniamo a costruire case popolari» – L’intervista

Non c’è alcuna traccia del «Piano casa» annunciato nei mesi scorsi da Giorgia Meloni nella manovra da 18,7 miliardi approvata dal governo e ora al vaglio del Parlamento. A fine agosto, dal palco del Meeting di Rimini, la premier ha promesso l’approvazione di una strategia per agevolare l’acquisto di un’abitazione da parte delle giovani coppie, «perché senza una casa è molto più difficile costruire una famiglia». Eppure, di quel piano non si è più saputo nulla e chi si aspettava di scoprire qualche novità con la legge di bilancio per il 2026 è rimasto deluso. «La ragione per cui il piano casa non viene presentato è duplice: mancanza di idee e mancanza di risorse», spiega in questa intervista a Open l’economista Tito Boeri, direttore della rivista eco, il cui ultimo numero — intitolato La casa è diventata un miraggio e già disponibile in edicola — è dedicato proprio alla questione abitativa.
Professore, il ministro Giorgetti ha spiegato – rispondendo a una domanda di Will – che il Piano casa sarà finanziato con il Fondo sociale per il clima, ma non ha precisato con quanti soldi e con quali misure. Che idea si è fatto del perché questo piano non è ancora stato presentato?
«Il piano casa era già stato annunciato lo scorso anno e avrebbe dovuto essere presentato a luglio del 2025. Al meeting di Rimini, la presidente del Consiglio ha sottolineato che un grande piano casa per le giovani coppie era la priorità del suo governo e che aveva affidato il dossier al ministro Salvini, ma il vicepremier finora ha presentato solo costosissimi piani per il Ponte sullo stretto di Messina. Penso che la ragione per cui il Piano casa del governo Meloni stia diventando una specie di araba fenice sia duplice: mancanza di idee e mancanza di risorse.
Anche questo governo, come i precedenti, tende a privilegiare la proprietà rispetto agli affitti, e questa è un’impostazione che ha un costo generazionale altissimo. Misure come la conferma dei bonus per le ristrutturazioni e l’esclusione della prima casa dal calcolo dell’Isee vanno unicamente a vantaggio dei proprietari. Sugli affitti, che riguardano più da vicino i giovani, non viene affatto assolutamente nulla».
E per quanto riguarda la mancanza di risorse?
«Le risorse effettivamente sono limitate. Ma ricordiamoci che ci stiamo avvicinando alla scadenza del Pnrr con moltissime risorse non spese. Perché non destinare una quota consistente di quei fondi a piani di edilizia popolare nelle città?».
Il piano casa del governo Meloni si rivolge alle giovani coppie. È una strategia giusta oppure rischia di discriminare i single monoreddito?
«Il discorso della natalità è fortemente intrecciato a quello della casa. Molti giovani non pianificano di avere figli perché sono costretti a vivere ancora con i genitori. Per ampliare la disponibilità di alloggi per persone a basso reddito si potrebbe modulare la cedolare secca in base al reddito dell’affittuario: più alto il reddito, più alta la cedolare, che dovrebbe invece azzerarsi per studenti o persone vicine alla soglia di povertà. Questo indurrebbe molti proprietari a dare la casa a giovani a prezzi più accessibili».
Che voto darebbe a ciò che ha fatto Giorgia Meloni sul fronte delle politiche per la casa in questi tre anni di governo?
«Il governo ha avuto il merito di chiudere tutti i rubinetti del Superbonus, una politica folle che ha creato delle voragini nei conti pubblici. Ma continua a sussidiare massicciamente e indiscriminatamente le ristrutturazioni. E non ha fatto nulla sul tema degli affitti, dove si concentrano oggi gran parte dei problemi legati alla casa. Io credo che una delle ragioni per cui il governo fa fatica a intervenire abbia a che fare con l’immigrazione».
Cosa intende?
«Questo governo raccoglie consensi facendo campagna contro gli immigrati, ma ogni politica per la casa che affronti il disagio abitativo non può che avere come beneficiari anche loro. I decreti flussi del governo faranno arrivare, nell’arco di una legislatura, un milione di immigrati. Dobbiamo porci il problema di trovare loro una casa a condizioni accessibili, altrimenti li lasciamo per strada e diventano una fonte di disagio sociale».
La manovra del governo Meloni conferma i bonus edilizi anche per il 2026. C’è un modo per accelerare le riqualificazioni energetiche degli edifici, e raggiungere gli obiettivi della direttiva «case green», senza sfasciare i conti pubblici?
«Certamente. Tanti altri Paesi hanno incentivi per le ristrutturazioni a risparmio energetico, ma sono differenziati in base al reddito dei proprietari e più contenuti rispetto ai nostri. Anche in questo caso, i bonus andrebbero rimodulati in base alla capacità reddituale, chiaramente non quella degli affittuari ma dei proprietari».
Torniamo un attimo al problema del caro-affitti. A cosa si deve l’aumento del prezzo delle abitazioni, ben più marcato rispetto alla crescita dei salari, negli ultimi anni?
«Ci sono due fenomeni. Il primo riguarda il fatto che siamo un Paese in declino demografico ma in cui le città, soprattutto Milano, stanno vivendo una crescita demografica significativa. Questo porta la domanda di abitazioni ad aumentare in un mercato fortemente regolamentato in cui l’offerta reagisce con molto ritardo all’aumento della domanda. Gli aumenti dei prezzi delle case sono localizzati soprattutto nelle grandi città, mentre nelle zone rurali abbiamo un andamento dei prezzi che è anche inferiore a quello dell’inflazione in generale. Il secondo fenomeno riguarda ovviamente l’andamento dei salari, di cui ci occuperemo nel prossimo numero di eco. Ci sono problemi legati a come funziona il sistema della contrattazione collettiva in Italia e al fatto che non solo non c’è un salario minimo, ma nemmeno una legge sulla rappresentanza».
L’ultimo grande programma per l’edilizia popolare in Italia è il piano Fanfani del 1949, mentre oggi nelle città si parla solo di edilizia convenzionata e social housing. Perché si è smesso di costruire case popolari?
«Perché si tratta di investimenti costosi e mancano le risorse per farle. Ogg si è scelto di agire con i privati anche sul fronte delle politiche per la casa, ma il problema è che gli accordi sono spesso elusivi e limitati. Uno degli esempi più lampanti è lo studentato che sorgerà a Milano dopo le Olimpiadi di Milano-Cortina, dove i canoni di affitto per gli studenti saranno altissimi».
Ci sono Paesi o città europee che hanno messo in atto politiche da cui potremmo prendere spunto?
«Senz’altro. In Francia, per esempio, vengono costruite case popolari anche in centro città, perché ci sono incentivi molto forti a farlo. Anche in Germania ci sono state politiche abitative interessanti, di cui parliamo ampiamente nel numero di eco in edicola. E i paesi europei spendono molto di più per sussidi agli affitti di famiglie povere. I dati Eurostat ci dicono che l’Italia spende, in rapporto al Pil, per “housing benefits” un terzo della Spagna, un decimo della Svezia, un ventesimo di Francia e Germania e addirittura un duecentesimo del Regno Unito».

Foto copertina: ANSA/Fabio Frustaci | La premier Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti alla Camera dei Deputati
