Ultime notizie Delitto di GarlascoJannik SinnerLegge di bilancioSigfrido Ranucci
ECONOMIA & LAVOROGiovaniLombardiaMilanoVideo

Da Fòla a Pavé, passando per Crosta: tre bakery nate dai giovani per i giovani raccontano la prima colazione milanese – Il video

26 Ottobre 2025 - 21:15 Valentina Romagnoli
Nel decennio in cui le imprese giovanili italiane sono diminuite del 25%, tre storie di under 35 che sono riusciti ad affermarsi, con originalità, nel difficile panorama meneghino

Dal 2015 ad oggi, l’Italia ha dovuto dire addio ogni giorno a 42 imprese guidate da under 35. Lo dicono i dati del report di Unioncamere, ente pubblico che rappresenta e coordina il sistema delle Camere di Commercio italiane, di febbraio 2025. Nel 2014 il numero complessivo delle imprese giovanili era di quasi 640mila, nel dicembre scorso, invece, si fermava a 486mila. Eppure, anche nel nostro Paese, c’è ancora chi scommette sulle proprie intuizioni, chi decide di rischiare – con la disponibilità economica per farlo, certo, ma non basta solo quella. Il contesto è tutt’altro che facile, ma se si chiedesse a Tine Louise Devriese, Luca Scanni e Giovanni Mineo qual è la spinta che li ha condotti ad aprire la propria bakery, o panetteria che sia, la risposta sarebbe simile almeno per un aspetto: la voglia di mettere in pratica le proprie idee, di riconoscersi in un progetto su cui apporre, con coraggio e orgoglio, il proprio nome.

Fòla: dal Belgio a NoLo

«Spesso quando si raccontano questi progetti si tende a parlare solo del bello e del buono», Tine Louise Devriese è una ragazza di 32 anni con una deliziosa e sottile cadenza, difficile da decifrare. È nata in Belgio, non lontano da Bruges, da genitori pasticcieri e nonni macellai. «Quand’ero più giovane avevo ripromesso a me stessa che non avrei mai avuto una pasticceria, e invece eccomi qui», sorride. Fòla ha aperto nel 2021, in via Luigi Varaini,12, nel cuore di NoLo, a nord est della città. Una meta e un punto di partenza tutto al femminile, che Tine Louise ha pensato insieme alla sua collega Claudia Gerini. «Ci completavamo bene, io ho studiato all’Università di scienze Gastronomiche di Pollenzo, mentre lei aveva una formazione più economico-giuridica». Oggi Fòla è un punto di riferimento per un quartiere giovane e in fermento, che unisce e mescola ancora i diversi volti della città. Uno spazio pensato nei minimi dettagli, dalla palette di colori al menù, tutti tasselli di un puzzle che compongono Fòla, «all’inizio doveva essere come una casa, accogliente per tutti, non solo per chi si può permettere una torta per 30 persone».

Tine Louise Devriese
Tine Louise Devriese davanti a Fòla

Una squadra giovane

Oggi da Fòla ci lavorano una decina di giovani ragazzi e ragazze. «L’unica cosa che non ho mai delegato è la sfoglia, la faccio con la ricetta di mio papà, me ne occupo io da sempre», racconta Devriese. Tre volte alla settimana per otto ore. Il risultato è croccante, leggero, e con un grado di dolcezza molto basso. Perfetto per la classica viennoiserie, ma anche per preparazioni salate. Eppure, nonostante oggi il via vai della clientela quantomai variegata sia sintomo di un progetto in salute, all’inizio non sono mancate le difficoltà. «Prima di aprire l’attività, ero io che andavo in giro per le banche a presentare il nostro business plan, un buon piano, che avevamo creato insieme, e chiedevo un finanziamento. Non so quante porte in faccia mi sono presa, nonostante avessimo delle famiglie alle spalle», racconta. Alla fine, le ragazze hanno deciso di assumere un consulente finanziario e in tre settimane hanno firmato le carte. «Puoi pensare quello che vuoi, ma forse il fatto che io fossi una donna da sola, non ha giovato a mio favore».

La «follia» di Fòla

Ed ecco che, quando ancora l’Italia faticava a rialzarsi dalla Pandemia, si sollevava per la prima volta la serranda della bakery di Tine Louise. «Il nome l’ho scelto perché volevo qualcosa che mi rappresentasse: la madre del mio ex compagno, piemontese, mi diceva spesso “Ti t’è un po’ ’na fòla”, sei un po’ matta, e a me questa espressione piaceva». Meglio ancora, poi, quando l’imprenditrice ha scoperto che in veneto e in emiliano la stessa parola significa “fiaba“. «Apprezzavamo molto la combinazione di questi due significati, per arrivare all’idea di una ragazza che sta con i piedi per terra, ma che crede ancora tanto nella magia». Forse, oggi Fòla è un po’ come un Dorian Gray che invece di invecchiare, matura insieme alla proprietaria. «Quando ho lasciato il Belgio mia madre me lo disse: “tu non tornerai più”, e aveva ragione».

Pavé: l’antesignana delle bakery

Nel 2012 a Milano il concetto di bakery era qualcosa di fumoso, ancora appannaggio quasi esclusivo dei Paese oltre confine. «Diego (Bamberghi, ndr), Giovanni (Giberti, ndr) ed io eravamo in una fase in cui volevamo cambiare vita – racconta Luca Scanni, seduto a uno dei tavoli della sua Pavé, a pochi passi dalla stazione Centrale di Milano, in via Felice Casati 27 – tutto è nato in maniera piuttosto naturale». Pavé oggi è un progetto importante, che ha ispirato diverse attività del capoluogo meneghino, ma all’epoca non c’era nessuna asticella fissata al di sopra della propria passione della propria voglia di mettersi in gioco. Tre amici, qualche risparmio da parte e un’idea. «Ci piacevano le colazioni, ci piaceva viaggiare, vedere posti in cui la gente trascorreva del tempo e si conosceva. Io ero stato per un periodo in Australia per lavoro, Diego viaggiava molto nelle grandi città, come Berlino, Londra, Barcellona. Giovanni aveva lavorato come pasticciere a San Francisco». Da tutto quello che i tre avevano assorbito in trent’anni scarsi di vita è nato Pavé.

Pavé Staff
Da sinistra: Diego Bamberghi, Giovanni Giberti e Luca Scanni

I grembiuli cuciti a macchina e le seggiole del rigattiere

«L’idea alla base era semplice: servire la migliore qualità possibile in un luogo che rimanesse informale», spiega Luca. Una filosofia che, in realtà, nasce anche dalla necessità. «Avevamo investito tutti i nostri soldi in macchinari, per proporre un prodotto il più buono possibile, quindi all’inizio non potevamo permetterci meglio delle sedie del rigattiere dei grembiuli cuciti a macchina dalla madre di Giovanni». Una ricetta che è stata un po’ anche la loro fortuna. «All’inizio eravamo noi tre, più una ragazza che ci dava una mano, ma poi questa cosa ci è come esplosa tra le mani – , ricorda Scanni – abbiamo iniziato a coinvolgere sempre più gente, ad ampliarci sempre di più, e la nostra fortuna è stata quella di essere riconoscibili, di scardinare l’idea che l’alta qualità fosse vincolata soltanto a luoghi molto formali». Ad oggi, Pavé conta una cinquantina di dipendenti e quattro punti vendita, di cui due gelaterie.

L’onda dell’hype: «È ancora il passaparola che conta»

Dal 2012 a oggi Milano ha cambiato più volte il proprio ritmo e la propria sostanza. Ma almeno in parte il fenomeno delle bakery a declinazione meneghina nasce dai tre ragazzi lombardi. La sfida, una volta diventati un nome in città, è riuscire a mantenerlo negli anni. «L’entusiasmo nei nostri confronti, il cosiddetto “hype”, è stato piuttosto lungo, è durato fin dopo l’Expo del 2015 – ricorda Luca – oggi queste ondate sono molto più brevi, sei subito in balia di quello che sai fare veramente. Puoi pubblicizzare in tutti i modi, ma è il passaparola delle persone a cui non interessano le mode che funziona ancora moltissimo». Il nome, Pavé, ricorda una ciambella non proprio riuscita col buco. «Il nostro primo tentativo, nel 2011, è andato a vuoto. Dovevamo aprire in zona Colonne di San Lorenzo e lì c’era il pavé per terra. All’ultimo, il proprietario delle mura non se l’è sentita e così abbiamo abbandonato il progetto». Il nome, però, è rimasto. Quasi a ricordarsi che può esserci del buono anche nei piani accantonati.

Crosta: un ingegnere mancato

Giovanni Mineo ha aperto Crosta quando aveva 33 anni, nel 2018. Una panetteria specializzata in lievitati e pizza alla pala, aperta dalla colazione alla cena, nel cuore di Porta Venezia, in via Felice Bellotti 13. Ma tutto nasce da una passione lontana, scoperta negli anni dell’università, da una «spinta», come la chiama lui. «Fino ai miei 23 anni studiavo ingegneria a Palermo, la mia città d’origine – racconta Mineo – amavo studiare, ma avevo la necessità di mettere in pratica le mie idee e soffrivo il fatto che il percorso accademico fosse già piuttosto tracciato». Così, Mineo è partito dal proprio amore per il cibo, in tutte le forme, per indagare su quale professione facesse al caso suo. «Per capire la tua strada spesso hai bisogno di toglierti il contorno, di capire come funzioni in un altro contesto». Così, si trasferisce a Milano. Di giorno data editor e di notte panettiere.

Giovanni Mineo Crosta
Giovanni Mineo davanti a Crosta

Davide Longoni e l’esperienza nel laboratorio del carcere

«Avevo identificato tre cose per me importantissime: la prima era lavorare con le mani, la seconda era la mia attitudine all’altruismo, volevo che gli altri fossero il fine di quello che faccio. La terza, poi, era la mia passione per il cibo». Questi i tre ingredienti che hanno spinto Giovanni verso la carriera da fornaio. «Decido di fare il pane perché è un elemento che mi rispecchia: è semplice, confortevole, intimo e accompagna sempre qualcosa». Così, Mineo inizia a formarsi da Davide Longoni – oggi uno dei panettieri più celebri d’Italia – prima che quest’ultimo fosse un nome. «All’epoca lui era ancora nel forno della sua famiglia, a Carate Brianza. Io di giorno lavoravo a Milano, la sera prendevo il treno fino a Monza, da lì a mezzanotte passava il ragazzo ai forni, mi caricava, salivamo a Carate Brianza e da lì stavo fino alle 8 e mezza del mattino e tornavo con la ragazza delle consegne», ricorda. A 26 anni, poi, una nuova occasione. «Mi contattarono per aprire un laboratorio di panetteria all’interno del carcere di Alessandria». Un progetto di Coop nord ovest a cui Giovanni disse di no due volte, prima di lanciarsi. «Il mio compito era formare una squadra di detenuti all’interno di un laboratorio piuttosto grande. Ci rimasi tre anni, fu un’esperienza che mi cambiò la vita». Poi fu la volta di Crosta.

Crosta oggi, l’accessibilità per tutti

Di tanto in tanto, mentre Mineo racconta la propria storia seduto a uno dei tavolini del proprio dehors, passano clienti affezionati e lui li saluta cordiale. «loro li ho visti crescere – commenta rivolto a una coppia di ragazzi che potrebbero essere fratello e sorella – fa un po’ impressione». Oggi nel locale ci lavorano circa una trentina di dipendenti, molti dei quali donne. «Negli anni ho cercato di rendere il lavoro da Crosta il più accessibile possibile dal punto di vista fisico. Questo è un mestiere in cui spesso le donne vengono escluse, per il modo in cui si è sviluppato negli anni, ma quando io seleziono i miei ragazzi non voglio precludermi nessuno». Un aspetto che Giovanni ha deciso subito di implementare: «La prima cosa che notai quando aprimmo era che la prima dipendente che ho avuto al pane, che era una ragazza, si affaticava a infornare con la pala. Così, la prima miglioria che apportai è stato un carrello informante, che di fatto è più comodo per tutti».

leggi anche