Ultime notizie FemminicidiGazaJannik SinnerLegge di bilancioUcraina
ATTUALITÀCorruzioneDelitto di GarlascoInchiesteLombardiaOmicidiPavia

Poliziotto gli sparò alla schiena e lo uccise, il gip archiviò nonostante i dubbi: «Frutto del “Sistema Pavia”». Cos’è e che legami ha con Garlasco – Il video

29 Ottobre 2025 - 23:14 Filippo di Chio
I legali della famiglia di Soufiane Ech Chafiy, ucciso nel marzo 2016, hanno chiesto alla procura pavese di riaprire le indagini. Tra i protagonisti dell'archiviazione Mario Venditti insieme ad altri nomi al centro della rete di favori reciproci tra magistratura, forze dell'ordine e imprenditori locali

Soufiane Ech Chafiy è agonizzante a terra, trafitto alla schiena da un proiettile sparato da un poliziotto, quando i due agenti che lo avevano inseguito si fermano vicino a lui. Uno dei due si allontana e urina a due metri di distanza dal 20enne senza curarsene. I soccorsi arriveranno 23 minuti dopo, un ritardo che per il giovane è una condanna a morte. È il 24 marzo 2016 quando questa scena viene ripresa da una telecamera di videosorveglianza. Pochi mesi dopo, l’indagine condotta dalla procura di Pavia finisce con un nulla di fatto. O meglio, con l’archiviazione del procedimento nonostante «nessuna delle perplessità» sottolineate dal gip «risulti fugata». Una storia piena di ombre che annovera tra i suoi protagonisti gli stessi volti del cosiddetto «Sistema Pavia», quell’insieme di favori incrociati che secondo gli inquirenti bresciani potrebbe aver giocato un ruolo non secondario nell’arenamento delle prime indagini a carico di Andrea Sempio riguardo al delitto di Garlasco.

L’inseguimento, i colpi degli agenti e l’arma inesistente

A chiedere al procuratore di Pavia, Fabio Napoleone, di riaprire il caso di Soufiane sono stati i legali della famiglia del 20enne. Secondo loro, troppe sono le anomalie che otto anni fa avevano portato a una dubbia archiviazione lampo. La notte del 24 marzo 2016, a Vigevano, sono tre i ragazzi a bordo della Bmw che sta scappando da una volante. Durante la fuga a tutta velocità, uno dei giovani si affaccia dal finestrino e inizia a sparare. Un dettaglio che compare nella ricostruzione degli agenti ma che il gip ha smontato pezzo per pezzo, etichettandolo come «assolutamente da escludere».

Pochi minuti dopo, nelle vicinanze di Abbiategrasso, il poliziotto David C. spara quattro colpi verso la Bmw. Poi spara altri due proiettili quando l’auto dei ragazzi è ormai ferma: secondo gli agenti «i fuggitivi brandivano verosimilmente l’arma precedentemente usata per fare fuoco», quella – per intenderci – inesistente. Uno dei due proiettili colpisce Soufiane alla schiena. Il giovane scende dalla macchina insieme ai due amici. È ferito, barcolla. Dalle telecamere di videosorveglianza lo si vede accennare due passi indietro, come se volesse girarsi e chiedere aiuto. Poi avanza di qualche passo e crolla a terra. Poco dopo arrivano i due poliziotti, gli puntano due torce addosso. Poi uno dei due si allontana di pochi passi e urina. I medici arrivano alle 2.34, 23 minuti dopo l’arrivo degli agenti, e il 20enne morirà alle 6 di mattina. Secondo il medico legale «ci sono stati ritardi nei soccorsi». 

Il procedimento lampo e i dubbi «mai fugati» del gip

È da qui che parte il procedimento, che vedeva il poliziotto David C. indagato per eccesso colposo di legittima difesa. A ottobre il pm Roberto Valli chiede l’archiviazione, il gip Fabio Lambertucci respinge la richiesta e chiede di approfondire. Poi il 22 dicembre chiude il caso, nonostante l’ammissione che buona parte della ricostruzione fornita dagli agenti risulti «non attendibile» se non inventata. «La fantomatica arma non è mai stata trovata e certo non è mai esistita», scrive. La conclusione è però spiazzante: «Non è ipotizzabile che si possa giungere a una condanna per eccesso colposo, anche se la vittima disarmata è stata uccisa da un colpo sparatogli alle spalle». Un elemento che i legali della famiglia di Soufiane hanno sottolineato in un documento di 10 pagine in cui, tra le altre cose, hanno sottolineato anche la mancanza di una perizia balistica, l’inspiegabile demolizione della Bmw dei ragazzi e l’inattendibilità di un testimone sentito dagli agenti.

Il «Sistema Pavia» e il legame con Garlasco

Ma cosa c’entra tutto questo con il «Sistema Pavia», vale a dire quella presunta rete complessa e intricata di scambi di favori tra magistrati, agenti della polizia giudiziaria e imprenditori con cui l’ex pm Mario Venditti gestiva come un burattinaio la procura a lui assegnata dal 2014 a fine 2021? Un primo indizio, oltre ai luoghi e ai tempi del delitto, sono i nomi. Nel 2016 è proprio Venditti ai vertici della procura di Pavia che si occupò delle indagini. L’inchiesta fu affidata al pm Roberto Valli e giudicata dal gip Fabio Lambertucci, che nel 2017 in quello stesso ruolo archiviò la prima indagine a carico di Sempio. Su Lambertucci la procura di Brescia ha già ordinato una serie di accertamenti bancari, per verificare se sia stato beneficiario di trasferimenti sospetti di denaro proprio in merito al delitto di Garlasco e alla presunta corruzione che avrebbe permesso a Sempio di uscire dalle indagini. 

leggi anche