La black list del trio Vagnoli, Fonte e Sabene e il loro «metodo call out». Da Scurati «pezzo di m.» a Iacopo Melio «da annientare»

Tra gli atti dell’inchiesta per stalking della procura di Monza, dove le attiviste femministe Valeria Fonte, Carlotta Vagnoli e Benedetta Sabene sono indagate per presunti atti persecutori nei confronti del giornalista A.S. e dell’esperta di social media Serena Mazzini, c’è anche una black list. Una sorta di elenco, ricostruisce Di Raimondo su Repubblica, di persone da bersagliare. Quattordici nomi di uomini catalogati per città, professione, numero di follower. Da colpire per via di presunte segnalazioni su presunti comportamenti inappropriati di cui però non c’è conferma solida. Tra i nomi, quello del politico Giuseppe Civati, dell’attivista e politico Iacopo Melio (“Dobbiamo trovare come neutralizzarlo”, “Va annientato”), dei giornalisti Dino Giarrusso (ex parlamentare europeo), Emilio Mola, Valerio Nicolosi, del cantante Lodo Guenzi, dell’attore Cristiano Caccamo.
«Scurati pezzo di merda». Chi c’è nella black list
Le chat in questione sono “Fascistella” e “Commando Transfemm”, dove diverse personalità vengono prese di mira per i più svariati motivi. Lo scrittore Antonio Scurati è definito «pezzo di merda depensante» per un suo articolo. Per Vagnoli «è semplicemente leccare il culo a mezza editoria. Che è ebrea (…). Perché fai i miliardi così». Poi vi sono allusioni volgari nei confronti del giornalista Pablo Trincia. Mentre altre persone, esterne alle indagini ma presenti nelle chat del trio e molto attive sui diritti definiscono il Capo dello Stato «fascista bastardo vero». Poi le allusioni su artisti come Willie Peyote, Motta e Mario Biondi; sul filosofo Lorenzo Gasparrini (“Se lo vedo gli sputo in faccia”), sugli scrittori Christian Raimo e, Giulio Cavalli.
Il metodo call out
Nelle chat non si contano le frasi contro Selvaggia Lucarelli e Serena Mazzini, una delle parti offese dell’inchiesta: «Mazzini è finita, ma è finita per Lucarelli, colpiscine una per farle cadere entrambe», scrive Vagnoli. «Io non ho chat di gruppo con nessuno – precisa invece Sabene sui social –. E dopo mesi di analisi sul mio dispositivo non risultano agli atti mie condotte persecutorie» nei confronti del giornalista che l’ha denunciata. E infine il metodo del call out, ovvero isolare un personaggio gettando ombre sulla sua figura. In chat “Fascistella” Vagnoli teorizza: «Ci serve un profilo anonimo con residenza nel Paese in cui si può dire tutto e che non risponde alla nostra giurisdizione», così «puoi fare call out a tutti». «Dobbiamo usare le loro armi raga. Propaganda e violenza. E soprattutto fare davvero nostra la cancel culture. È l’arma più potente che il femminismo abbia avuto negli ultimi 25 anni. Radicalizzare. Attaccare. Accusare. E fare pura, cattiva, becera propaganda».
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(in copertina foto di Brett Jordan su Unsplash)
