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Perché Cecilia Parodi è stata condannata per gli insulti a Liliana Segre: «Odio ancora più riprovevole per la persona scelta»

25 Novembre 2025 - 16:49 Ugo Milano
liliana segre cecilia parodi odio razziale odio ebrei
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Sono uscite le motivazioni della sentenza del gup di Milano che ha coinvolto la scrittrice e attivista che nel 2024 fece un video social in lacrime

Parole cariche di «odio e disprezzo», rese ancor più «riprovevoli» perché «rivolte nei confronti di una persona la cui stessa esistenza e sopravvivenza è stata ostacolata e messa in pericolo a causa dell’appartenenza a una specifica comunità religiosa». Sono queste le motivazioni con cui il gup di Milano ha condannato a un anno e sei mesi la scrittrice e attivista Cecilia Parodi per gli attacchi rivolti a Liliana Segre. L’accusa era nata da un video pubblicato su Instagram nel luglio 2024, in cui Parodi, tra le lacrime, affermava «odio tutti gli ebrei» e pronunciava frasi antisemite contro la senatrice a vita e sopravvissuta alla Shoah.

Come si era giustificata la scrittrice

Davanti ai magistrati, Parodi aveva spiegato «di essere particolarmente sensibile alla causa palestinese» in quanto avrebbe prestato assistenza ai bambini vittime di violenza. La scrittrice aveva inoltre sostenuto di non aver avuto intenzione di «offendere né incitare all’odio contro la senatrice né nei confronti della popolazione ebraica», attribuendo il suo sfogo al fatto di essere «rimasta colpita dalla posizione assunta da Segre in seguito alle operazioni militari a Gaza secondo la senatrice non definibili come genocidio». Giustificazione che non ha convinto il giudice, che lo scorso ottobre ha emesso la condanna.

Le motivazioni della condanna

Ora il tribunale ha reso note le motivazioni della sentenza. «La condotta dell’imputata si rivela del tutto sproporzionata rispetto al contesto di riferimento, manifestando un ingiustificabile intento di leder l’altrui onore e reputazione con espressioni denigratorie e umilianti, che trascendono qualsiasi continenza espressiva, verbale, che fuoriescono dall’ambito del diritto di critica». Il giudice aggiunge che «la condotta diffamatoria sia posta in essere per finalità di odio etnico e religioso».

La diffusione del video shock sui social

Segre viene poi descritta dal gup di Milano come «una dei sopravvissuti allo sterminio degli ebrei», figura che ha quindi assunto «nell’immaginario collettivo il ruolo di voce autorevole» sulle tematiche dell’Olocausto, al punto da essere stata nominata «senatrice a vita dal Presidente della Repubblica». Inoltre, si sottolinea come la «diffusione sui social» di messaggi denigratori possa «scatenare reazioni e commenti di utenti, purtroppo numerosi» che, «nascondendosi dietro a una tastiera, negano la tragedia dell’Olocausto» e alimentano «sentimenti di odio e discriminazione nei confronti degli ebrei».

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