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Perché le pensioni dei lavoratori privati sono più povere

23 Dicembre 2025 - 07:22 Alba Romano
pensioni inps aumento età pensionabile tre mesi
pensioni inps aumento età pensionabile tre mesi
L'importo medio dell'assegno nel 2024 è sceso di 36 euro in cinque anni. Anche per effetto delle strette sulle uscite

L’importo medio dell’assegno pensionistico per i lavoratori privati nel 2024 è stato pari a 1.300 euro al mese. Nel 2019 era di 1.336 euro. Anche per effetto delle strette sulle uscite. La Stampa spiega oggi che un dipendente privato che ha maturato una pensione di vecchiaia con i requisiti, ovvero un minimo di 67 anni e 20 di contributi versati, riceve, in media, 1.074 euro al mese rispetto ai 1.061 euro del 2019. Lavorando però sette mesi in più. L’età media di pensionamento effettivo, infatti, era di 66 anni e 9 mesi nel 2019 mentre è stata di 67 anni e 4 mesi nell’ultimo anno.

Le pensioni povere dei lavoratori privati

L’uscita in anticipo prevedeva invece otto mesi in meno e una pensione più alta. L’importo medio nell’ultimo anno è di 2.208 euro al mese rispetto a 2.095 di qualche anno fa. Nel settore pubblico invece gli statali andati in quiescenza prima del tempo hanno una pensione privata più alta rispetto a chi attende l’età pensionabile a 67 anni. Nel 2019 era il contrario. Nel 2024, poi, le pensioni di vecchiaia ottenute da contadini, artigiani, commercianti e parasubordinati non arrivano a mille euro al mese. Per gli autonomi l’assegno pensionistico ha un importo di 343 euro al mese, ovvero meno di quello sociale che è a 494 euro.

Gender Gap

E poi c’è il gender gap. Nel 2024 la pensione media di una dipendente privata è stata di 785 euro al mese se di vecchiaia e di 1.861 euro se anticipata. Per un collega maschio, l’importo mensile sale, rispettivamente, a 1.448 euro e 2.355 euro. Su oltre 358 mila pensioni di lavoratori privati con decorrenza nel 2024, solo poco più di 22 mila superano i 3 mila euro al mese. Sandro Gronchi, già docente di Economia politica all’università La Sapienza di Roma nonché ideatore del modello di previsioni di spesa pensionistica della Ragioneria generale dello Stato all’epoca di Andrea Monorchio, spiega che manca il meccanismo di indicizzazione delle pensioni contributive.

Il sistema a ripartizione

«In un sistema a ripartizione come è il nostro, i contributi versati oggi pagano le pensioni di oggi. Quindi, l’accantonamento dei propri contributi è del tutto virtuale» spiega Gronchi. «Al momento del pensionamento, un lavoratore ha messo da parte un capitale che deve bastargli per il resto della sua vita a riposo. Ebbene, noi applichiamo al montante contributivo un coefficiente di trasformazione rapportato alla durata attesa della pensione. Invece, quanto non erogato dovrebbe essere rivalutato ogni anno al tasso di crescita del Pil, come è stato nella fase attiva del lavoratore. Così funziona la capitalizzazione, vera o virtuale che sia. Altrimenti è un contributivo non autentico. E l’assegno pensionistico resta appeso al tasso di inflazione, in base alla disponibilità di risorse».