Piemonte: le eccellenze enogastronomiche

Dal tartufo ai pascoli e dalle vigne alla tavola, Open esplora le eccellenze enogastronomiche piemontesi e quel denominatore comune che le unisce tutte: la loro terra madre.

Di: Sofia Quaglia

“Nella terra c'è qualcosa di tuo”, diceva il grande scrittore Cesare Pavese, nato a Santo Stefano Belbo, in provincia di Cuneo. Ed è proprio della terra del Piemonte che vi voglio parlare oggi. La mia terra, ma anche la vostra.

Son più di 340 i prodotti agroalimentari tradizionale della regione del Piemonte, cibi e bevande riconosciuti a livello internazionale, e che ci vengono invidiati in tutto il mondo. Sì, tutte queste eccellenze si sono sviluppate negli anni grazie a: uno, la specializzazione dell’agricoltura piemontese e, due, una profonda esplorazione di quella che è la cultura del mondo enogastronomico (e non è un caso che il movimento Slow Food sia nato proprio a Bra). Ma il vero filo conduttore di questi prodotti è quello della terra madre. É infatti proprio la terra, il terreno e le caratteristiche specifiche del suolo, a caratterizzare davvero e fare la differenza sia da un punto di vista scientifico e sia, di conseguenza, dal punto di vista dei sapori e degli aromi. È la terra, in Piemonte come in tutte le altre regioni d’Italia, a distinguere le nostre eccellenze enogastronomiche.

“Il suolo è fondamentale, e la sua composizione è dinamica, cambia continuamente, proprio come quella dei paesaggi soprastanti”, spiega la professoressa Roberta Cevasco, Associate Professor of Geography and Historical Ecology all'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. “E non dipende soltanto dalla roccia madre e dal clima, come si tende a considerare parlando della caratterizzazione agronomica dei terroirs, ma anche dalle pratiche agricole, forestali e pastorali, presenti e passate.” Un suolo di un versante montano abbandonato, non più sfalciato e pascolato, perde progressivamente la fertilità, la capacità di assorbimento dell’acqua, e la biodiversità vegetale, animale e fungina, mi spiega Cevasco.

“C’è una memoria vivente nel suolo, e anche nella copertura vegetale.”

Partendo dai luoghi descritti dove Pavese scriveva della nostra terra, in questa puntata di CrossRoads, insieme ad esperti di enogastronomia da tutto il Piemonte, scopriremo quali sono le caratteristiche del terreno Piemontese e le tradizioni agricole che danno vita a questi prodotti unici.

  • 1.
    il tartufo
  • 2.
    il formaggio Castelmagno
  • 3.
    il vino
  • 4.
    l’orto e la tavola

1. IL TARTUFO

Una delle immancabili eccellenze Piemontesi è talmente legata al terreno che ci si trova proprio dentro, anzi, sotto.

Il tartufo, pregiatissimo e profumatissimo prodotto tipico delle colline del sud Piemonte, ha infatti un ineguagliabile valore gastronomico ed è tra le più importanti risorse economiche regionali. Un po’ un cult classic piemontese. E anche in quest’anno particolare, sospese le attività in presenza del Mercato Mondiale del Tartufo, la 90a edizione della Fiera Internazionale è proseguita con l’Alba Digital Truffle Lab per confermare il mito di un prodotto che è “profumo, poesia, mistero, ma anche cucina di livello ‘stellare’e status symbol dal fascino intramontabile”

Alba

Non sbagliamo: nel mondo ci sono 63 specie di funghi attualmente classificati come Tuber, 25 dei quali in Italia, di cui 9 commestibili e 6 commerciabili (Bianco d’Alba, Scorzone, Invernale, Nero Pregiato, Marzuolo e Nero Liscio), secondo il Centro Nazionale Studi Tartufi. Il tartufo è un fungo ipogeo, un corpo fruttifero che completa il suo intero ciclo vitale sotto terra, e vive in simbiosi con gli alberi attraverso uno scambio di sostanze nutritive tramite canali di radici sotto terra. Quindi, per il tartufo, il tipo di terreno in cui si trova è proprio l’elemento fondamentale della sua crescita. Il tartufo bianco, che è una risorsa naturale molto rara poiché non è coltivabile, nonostante agronomi da tutto il mondo ci provino da anni, vuole un terreno marnoso-calcareo, sotto i 700 m di altitudine, umido e prevalentemente all’ombra, spiega il Centro Nazionale Studi Tartufi. Mentre il tartufo nero, più comune del tartufo bianco ma comunque pregiatissimo, vuole un terreno calcareo-breccioso, in zone collinari con boschetti radi e prevalentemente soleggiati.

L’ecologia e la terra del tartufo

Carlo Marenda, co-founder di “Save the truffle” ci spiega come l'ecologia della terra influisce sulla nascita del tartufo

“Perché nel medesimo suolo in cui noi troviamo i tartufi, quindi nel bosco in fondo valle, 100 metri più avanti c’è il vigneto dove produciamo vini rossi con una grandissima espressione e perché il terreno ha una composizione chimica diversa rispetto ad altre parti d’Italia. Per esempio, abbiamo un Ph molto alto e abbiamo il carbonato di calcio che è determinante. Anche perché qui, milioni di milioni di anni fa, c’era il mare.”

Ma le stesse zone del Piemonte che danno vita a questo prodotto letteralmente unico (tra cui Langhe, Roero, Monferrato) attualmente sono, come il resto dell’Italia, soggette a mutamenti drammatici a causa del cambio climatico, dell’utilizzo di diserbanti chimici e della deforestazione.

Non è un caso che negli ultimi 25 anni si sia registrata una diminuzione delle aree tartufigene di circa il 30 per cento, secondo Save the Truffle. L’equilibrio del rapporto tra terreno, alberi e funghi si sta pian piano alterando, ed è per questo che trifolai appassionati come Marenda stanno lanciando iniziative per educare la popolazione riguardo al tartufo e mettere in comunicazione tra tutti gli enti coinvolti nelle decisioni ecologiche.

“Parlando dell’ambiente nel quale cresce il tartufo, è fondamentale la tutela di questi boschi e dunque il dialogo con i proprietari” mi dice Marenda, mentre passeggiamo nel Bosco dei Tartufi, un primo esperimento di tutela della cultura tartufi.

“Quello che noi vogliamo è, inoltre, che si abbia una cultura corretta del tartufo bianco: è un fungo ipogeo che ha un costo elevato, “expensive” dicono i turisti, quindi bisogna avere le giuste informazioni,” dice Marenda. “Per esempio, ‘Truffle’, in inglese, è una definizione troppo generica.”

Carlo Marenda racconta l’emozione della scoperta di un tartufo

Secondo Marenda è anche imperativo capire che quasi tutto si basa sull’esperienza dei trifolao. La disciplina e cultura viene tramandata di generazione in generazione - e infatti spesso si impara dai propri padri, nonni, o amici di famiglia più anziani. “Siamo in circa 4.000 cercatori di tartufi, ma il 50 per cento ha più di 60 anni. Quindi dobbiamo prepararci, perché dovremo essere capaci di affrontare un ricambio generazionale,” dice Marenda.

Marenda ci spiega anche come si addestrano i cani da tartufo, qui.

Per fortuna, ci sono ancora dei giovani che si interessano a questa disciplina spontaneamente. Noi di Open abbiamo conosciuto il più giovane di sempre che abbia ottenuto il patentino nazionale da trifolao.

Federico Delpodio

A caccia di tartufi con il più giovane tartufaio d'Italia

2. IL FORMAGGIO CASTELMAGNO

E se quello che sta sotto il suolo è importante per l’enogastronomia piemontese, non dimentichiamoci di tutto ciò che sta appena sopra: dalle erbe, ai prati, ai pascoli... perchè l’erba più verde non è veramente quella del vicino. L’erba ed i fiori delle montagne piemontesi, infatti, li mangiamo anche noi tutte le volte che gustiamo del formaggio.

“Le erbe e i fiori di montagna sono ricchissimi di queste sostanze che ci regalano aroma e gusto intensi e anche nutrimento di qualità per il nostro corpo,” spiega il dottor Andrea Pezzana, direttore di dietetica e nutrizione clinica all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino - responsabile Salute di Slow Food Italia - in un’intervista per il TgCom 24.

Nella zona di Castelmagno, in cima alla Valle Grana in provincia di Cuneo, i prati verdi delle Alpi Cozie hanno dato vita ad un’altra irripetibile eccellenza gastronomica piemontese, l’eponimo formaggio Castelmagno.

Evanzio Fiandino, presidente del consorzio di tutela del Castelmagno, e la famiglia Amedeo, i produttori del caseificio tradizionale La Meiro, ci hanno raccontato di come, anche per il Castelmagno, si passa dalla terra alla tavola.

Castelmagno

Fiandino mi spiega che produrre questo formaggio è tutta questione di esperienza: “Son cose che si acquisiscono negli anni, non è matematica. È addirittura difficile spiegarle.” Ecco perché è imperativo tramandare questi insegnamenti di generazione a generazione per valorizzare appieno il rapporto con la terra.

“Terra come suolo, come superficie, ma anche come luogo caratterizzato dalla cultura occitana, da stili e abitudini di vita,” secondo l’Ecomuseo Terra del Castelmagno: un progetto locale nato per valorizzare attività tradizionali. “Il legame inscindibile tra i due significati racchiusi nel termine “terra” crea la sua specificità.”.

Castelmagno

Ci troviamo a Castelmagno, in cima alla Valle Grana, nelle Alpi Cozie meridionali della provincia di Cuneo.

Castelmagno

Castelmagno fa parte dell’area storico-geografica dell’Occitania (che include parti della Francia, dell’Italia e della Spagna) quindi ci riporta alle tradizioni popolari, locali e culturali di questa zona.

Castelmagno

A Castelmagno si trova il Santuario di San Magno, coloratissimo edificio costruito in memoria di un soldato romano martirizzato in queste zone.

Castelmagno

La zona di Castelmagno è rinomata per la produzione dell’omonimo formaggio a denominazione di origine protetta, a pasta semidura bianca-giallognola, dal gusto e odore inconfondibile. Il Castelmagno può essere prodotto e stagionato esclusivamente nei tre comuni dell’alta Valle: Monterosso Grana, Pradleves e Castelmagno.

Castelmagno

C’era un Papa che lo aveva assaggiato, e aveva detto che e un formaggio molto vivace dal punto di vista olfattivo,” ci racconta Giorgio Amedeo di La Meiro, Terre di Castelmagno, produttore tradizionale in Val di Grana.

Ed è proprio Amedeo a raccontarci la storia di questo antico formaggio.

Castelmagno

“La particolarità di questo formaggio è data un po’ dalle erbe, un po’ dalla tradizione che si è portata avanti negli anni”, mi spiega Evanzio Fiandino, presidente del Consorzio di Tutela del Castelmagno.

Abbiamo parlato con Andrea Amedeo, figlio di Giorgio, nella loro cantina di stagionatura delle forme di Castelmagno d’alpeggio. Dietro di lui si scorgono forme che passano dalla stagionatura di un paio di mesi- fino ad 8 anni.

Castelmagno

Il Castelmagno è un formaggio molto particolare soprattutto per via dell’alimentazione delle vacche, specialmente quella estiva,” spiega Fiandino. “Fiori, piante… questa è una vallata molto particolare dove, se si va su a Castelmagno, si trovano cinque o sei diverse varietà di orchidee: un fenomeno molto particolare che nemmeno gli studiosi riescono a spiegare. In parte, probabilmente, dovuto alla conformazione del luogo: una vallata chiusa dove si creano dei climi un po’ particolari.”

Castelmagno

“Questo formaggio è nato per un’esigenza, quella di non sprecare. C’era povertà, c’era miseria, le aziende erano piccolissime: avevano due mucche, tre capre, due pecore,” spiega Fiandino. “In un giorno, il latte che mungevano lo usavano in casa come alimento, ma con quel che avanzava ci facevano un piccolo cacio, anche se non riuscivano a fare una forma intera. Poi accumulavano questa pasta per tre o quattro giorni e quando arrivavano a 5 o 6 chili sbriciolavano e mischiavano tutto insieme, lo ricompattavano e lo mettevano a stagionare.”

3. IL VINO

Nonostante sia prodotto con un frutto che sta un po’ più lontano dalla terra, anche il vino è uno dei prodotti piemontesi che più rispecchia le sfumature del microclima e del terreno piemontese. Nelle 18.000 aziende agricole del Piemonte è possibile degustare ed acquistare un patrimonio enologico di 17 vini DOCG e 42 DOC, molti dei quali prodotti nei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe, Roero Monferrato.

Roero Monferrato

Vieni con me ad assaggiare la stagione del vino in Piemonte, dalla vendemmia alla vinificazione.

“Il vino è per eccellenza un prodotto che riesce a trasportare i gusti ed i profumi di un territorio, in un bicchiere,” dice Francesco Monchiero, presidente del Consorzio di protezione del Roero, una delle zone a Sud del Piemonte rinomata per la viticoltura ma anche per la coltivazione di frutta e verdura, tra cui le pesche, fragole, e gli asparagi.

“E come mai questi prodotti riescono a trasportare gusti e sapori? Cos’hanno come minimo comune denominatore?” mi chiede Monchiero. Ma come si può immaginare, la risposta sta nel suolo e nel microclima.

Monchiero mi racconta di come, 10 anni fa, questa zona sia stata riconosciuta come patrimonio dell’Unesco: “Il nostro è un territorio che ha saputo rispettare gli spazi. La tutela si fa prima di tutto con la consapevolezza, non soltanto dei viticoltori ma di tutti i cittadini che vivono sulle nostre colline.”

La cura della terra da queste parti è alla base sia della viticoltura sia dello stile di vita del viticoltore, mi spiega Massimo Damonte, titolare dell'azienda vinicola Malvirà.

“Un viticoltore deve conoscere le sue vigne come i suoi figli."

"Sicuramente il viticoltore deve e dovrà interpretare la vite in un modo diverso,” dice Damonte, parlando del cambiamento climatico che il mondo sta subendo. “Dovrà pensare ad ogni dettaglio.” Infatti, la cura di poderi e vigneti così ampi, che rispondono in modo così immediato, è anche una tradizione tramandata di generazione in generazione. Ne è un ottimo esempio la produzione di Nebbiolo di Damilano, iniziata nel 1890 e che ora viene gestita dai tre nipoti.

Roero Monferrato

Spostandoci nelle Langhe e precisamente nella provincia di Cuneo, nella parte sud-ovest del Piemonte, ci troviamo di fronte agli straordinari scenari modellati dal lavoro dell’uomo e dalla benevolenza della natura, che da giugno 2014 sono stati riconosciuti come parte integrante del Patrimonio Mondiale UNESCO, attribuendo “eccezionale valore universale” al paesaggio culturale piemontese.

Roero Monferrato

Barolo è il paese che dà il nome al così detto “Re dei vini, il vino dei Re”.

È la patria del Nebbiolo, vitigno delicato e complesso, così chiamato perché pur essendo il primo a germogliare, è l’ultimo a far cadere le foglie quando arriva appunto la prima nebbia.

Roero Monferrato

In questo territorio dalle geometrie emozionanti si trovano i vigneti di Damilano: tra essi ci sono alcune vigne-mito che evocano immediatamente l’eleganza e la longevità dei loro Barolo. La più importante è senz’altro la collina di Cannubi, il luogo per eccellenza del Barolo.

Roero Monferrato

Il segreto di Cannubi è nei suoi suoli unici, formatisi circa 10 milioni di anni fa, con un’elevata quantità di sabbia fine che li rendono adatti alla produzione di vini di distinguibile finezza.

Roero Monferrato

Solitamente si svolgono circa 500 ore all'anno di lavoro manuale, con persone specializzate e profondi conoscitori della terra che utilizzano solo tecniche biologiche.

Roero Monferrato

L’esposizione quasi interamente a sud-sud/est e l’altitudine costituiscono due ulteriori caratteristiche di eccellenza per la coltivazione della vite e la perfetta maturazione dei grappoli.

4. L’ORTO E LA TAVOLA

E per la fine del nostro percorso, dal suolo arriviamo dunque fino alla tavola, dove prodotti nati dalla terra madre piemontese arrivano nel piatto, sopra la tovaglia.

Il Piemonte ospita ben 46 ristoranti stellati, seconda nella classifica delle regioni d’Italia con un ristorante che di stelle ne ha persino tre, Piazza Duomo di Alba. Lo chef del rinomato stellato albese, Enrico Crippa, racconta sempre che nella zona delle Langhe tutti i prodotti sono eccezionali, e sono proprio quei prodotti locali a guidare la sua mano, specialmente quelli della terra e specialmente le verdure. Crippa fa un’insalata di ben 112 ingredienti (chiamata 21-31-41), conosciuta ormai in tutto il mondo per il suo utilizzo di erbe, fiori e verdure particolari, dal Ficoide glacialis alla Pimpinella.

Alba

Infatti incontriamo Crippa nella sua serra biodinamica, in mezzo ai suoi due orti, tre ettari nella tenuta Bernardina di Ceretto, ad Alba, dove lui ed il suo team coltivano tra 200 e 300 varietà di vegetali, erbe aromatiche, verdure, frutta. Tanti di questi semi sono prodotti proprio da loro, e tanti di questi prodotti sono testati e ritestati di anno in anno, con esperimenti sulla coltivazione e maturazione delle piante.

Crippa mi fa assaggiare un fiore ornamentale, il Nasturzio rubino, che sa di piccante quasi quanto il Wasabi, e poi una fogliolina al gusto di fragola: c'è persino una pianta che sa di fungo, ed una che sa di formaggio.

“Perché ho voluto un orto? Io volevo offrire qualcosa di diverso ai clienti che passavano per le Langhe. Notavo che l’offerta culinaria era sempre basata sulle grandi carni, con una cucina del periodo invernale,” mi spiega Crippa. “Sono un grande amante delle verdure, i miei genitori ed i miei nonni hanno sempre avuto un orto ed è nato questo desiderio di avere un orto per il ristorante. Per poter avere i prodotti freschi tutti i giorni. Per avere dei prodotti diversi da quelli che si trovano sui mercati tradizionali.”

25 domande flash con Enrico Crippa

L’orto di Crippa e Ceretto dà lavoro a 6 persone tutto l’anno e non porta certo ad un risparmio. “L’orto se ce l’hai ti costa. Devi sempre essere a disposizione. I vecchi contadini raccontavano che l’orto vuole l’uomo morto, ed in effetti e proprio cosi. Non puoi mai mollare o abbandonarlo,” dice Crippa, raccontandoci del "vero gusto delle zucchine" e di come l'Italia sia il paese delle verdure.

Siamo riusciti a braccare il ricercatissimo chef stellato Enrico Crippa per fargli 25 domande completamente random, su due piedi. Dal suo più grande rimpianto alla sua parte preferita della giornata.

Ma l’orto non è solo un luogo fisico, è anche un luogo spirituale. Crippa ci va anche per trovare le sensazioni per i suoi nuovi piatti, e sentirsi ispirato. “Le idee partono tutte dall’orto. Una ricetta può partire anche guardando la forma di un ortaggio, di una foglia… da quella forma puoi tirare fuori delle coreografie per un piatto.”

Questa terra madre fertile e fiera ha aiutato il Piemonte a creare dei veri e propri imperi. Ne parliamo con Bruno Ceretto, uno degli imprenditori storici del vino e della ristorazione delle Langhe.

“Sono poche le zone eccezionalmente importanti nell’enogastronomia. I punti di riferimento, fino a poco tempo fa, erano in Francia e in Spagna. Poi siamo arrivati noi, perché effettivamente il Padreterno ci ha aiutato molto,” mi dice mentre è seduto nel suo “acino” sospeso tra le vigne, una struttura architettonica a bolla trasparente che si affaccia su tutte le Langhe.

“Qui siamo fortunati perché la nostra terra produce delle materie prime veramente straordinarie. C’è di tutto. E i nostri lavoratori sono bravi. Gina Lagorio diceva, ‘ma neanche i giardinieri della regina Elisabetta sapevano coltivare bene le orchidee come i contadini sanno curare queste vigne,’ perché siamo bravi, abbiamo voglia di fare, ci crediamo,” dice Ceretto.

Ed è grazie a questa materia prima, a personale davvero appassionato e alla sua voglia di fare che l’Albese è riuscito a cambiare l’enogastronomia e il turismo in Piemonte. Negli anni ’60, quando chiedevano a Ceretto quale fosse il suo obiettivo, lui rispondeva: “Creare un posto a tavola per i miei figli, perché possano sedersi con i Francesi.”

“E ce l’abbiamo fatta. Abbiamo sostituito la globalizzazione,” dice Ceretto. “Ad Alba e dintorni circa 600 persone erano addette al turismo… oggi sono 7 mila e si prevede un allargamento fino a 10 mila. Noi dell’agricoltura, noi della terra, siamo stati capaci di ricreare.”

E anche Ceretto, durante tutta l'intervista, continua a citare Pavese.

Abbiamo parlato sia con Enrico Crippa che con Bruno Ceretto per scoprire cos'è che rende cosi strabiliante la cucina piemontese: browsa i video qui sotto per scoprire i loro segreti

L'importanza degli obiettivi

I desideri

I segreti delle verdure

L'orto vuole l'uomo morto

Visit Piemonte Fondazione CRT Regione Piemonte Valmora Museo Egizio

Supervision: Giulia Delogu, Francesca Simili.
Production: Sofia Quaglia.
Research, reporting and writing: Sofia Quaglia.
Video shooting and editing: Sofia Quaglia.
Additional video shooting: Vincenzo Monaco.