COP24: dopo l’accordo, cambia il clima ma non la politica

L’incontro dell’Onu in Polonia ha riscritto le regole per ridurre i gas serra, ma potrebbe non essere abbastanza

Il summit Onu COP24 ha fissato delle regole comuni per ridurre i gas serra ma non ha cancellato i ritardi, dividendo l’opinione pubblica e deludendo gli attivisti. 


 


Nonostante i 196 paesi presenti abbiano fissato alcune regole volte ad evitare un incremento della temperatura terrestre oltre ai 2 gradi centigradi, come stabilito negli accordi di Parigi del 2015 (COP 21), le critiche non stentano ad arrivare. 

 

Vari gruppi di attivisti hanno annunciato di voler continuare la loro azione di protesta per velocizzare la decarbonificazione dell’economia mondiale. E’ stata molto contestata anche la decisione dei Paesi presenti al summit di non adottare il rapporto dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) sulla necessità di contenere l’incremento delle temperature globali entro 1,5 gradi centigradi (non 2), per evitare conseguenze drastiche per l’ambiente e per l’umanità. 

 

Per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi sul clima, l’Unione Europea ha chiesto ai Paesi membri di ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2030 (rispetto ai livelli di emissioni di CO2 del 1990) e di portare almeno a quota 27% l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili.

 

Ma sono molti i Paesi membri in ritardo, tra cui anche l’Italia. 

Nella graduatoria redatta da Germanwatch, l’Italia è stata declassata dal sedicesimo al ventitresimo posto nel corso dell’anno. Tra i Paesi più virtuosi ci sono la Svezia, il Marocco e la Lituania.

 

In un intervento al summit il ministro dell’Ambiente italiano Sergio Costa ha ribadito l’intenzione di “portare a termine con successo la piena eliminazione dell’uso del carbone entro il 2025”. Secondo il ministro, l’Italia non solo sarebbe in linea con gli obiettivi del 2020, ma “conta di superarli garantendo contemporaneamente concrete prospettive di crescita alle nostre aziende ed efficaci misure di salvaguardia dell’ambiente a totale beneficio di questa generazione e di quelle a venire.”

 

Però secondo il rapporto annuale di Germanwatch e Climate Action Network International, presentato il 12 dicembre a Katowice nel corso della Conferenza internazionale sul clima dell’Onu, l’Italia sarebbe in ritardo rispetto agli impegni di Parigi, sia per quanto riguarda le emissioni di gas serra, ancora troppo alte, sia per quanto riguarda l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, di circa 10% inferiori al dovuto.

 

I dati dell’ISPRA per il 2017 (l’Istituto Superiore per la Ricerca e l’Ambiente) rispecchiano quelli di Germanwatch. Mostrano inoltre che le emissioni di gas serra sono aumentate in Italia del 2,3% dal 2014 al 2015 e che l’uso di rinnovabili non ha superato la soglia del 16,8% rispetto ai consumi finali di energia.

Il Ministero dell’ambiente non ha commentato il rapporto Germanwatch.

 

 

L’Italia a carbone rallenta ma non si ferma

 

Nel frattempo dal governo arrivano messaggi contraddittori sul piano di decarbonificazione. L’eco-tassa per le automobili prevista nella legge di Bilancio è stata bocciata da Matteo Salvini domenica 16 dicembre e poi riconfermata da Palazzo Chigi il giorno dopo. Sono previsti bonus fino a 6 mila euro per le auto elettriche e ibride, che però complessivamente rappresentano meno del 10% delle vendite d’automobili in Italia. Le penalizzazioni saranno soltanto per le SUV e auto extra lusso.

 

Secondo l’Ufficio Stampa del ministero dell’Ambiente, il Piano Energia e Clima del 2018, è stato già completato e inviato alla Commissione Europea, ma non sarà reso pubblico prima della fine del mese. Al momento non sono stati resi pubblici ulteriori dettagli del piano riguardo ad eventuali misure per ridurre le emissioni di gas serra.

 

Per Monica Frassoni, co-presidente del Partito Verde Europeo, la regolamentazione del mercato delle auto sarebbe insufficiente: “Non è accettabile che l’unica misura proposta sia questa. Per questo motivo, noi insieme a Marco Cappato abbiamo lanciato l’idea di una petizione per la presentazione di una normativa europea sulle eco-tasse”.

 

Più urgente è la questione dei sussidi ai fossili. “Noi abbiamo circa 14 miliardi di euro come sussidi indiretti e diretti ai fossili (chiamati “sussidi ambientalmente dannosi”). Bisogna chiarire cosa succede con le rinnovabili. L’Italia è tornata indietro su questo fronte. Dopo essere stata prima al mondo, impiegando circa 120.000 persone, dopo la crisi (post 2008) il governo ha tagliato tutto in modo retroattivo. Siamo molto indietro sul decreto delle rinnovabili.”

 

12 anni per arginare potenziali disastri ambientali

 

Il ritardo non riguarda soltanto l’Italia, ma l’Europa tutta. Come ha spiegato a Open Monica Frassoni: “Tutti noi sappiamo, compresi gli Stati membri, che la somma delle Indc (il piano d’azione volontari nazionali) non arrivano all’obiettivo preposto. Questo gap è reso ancora più grave dalla pubblicazione del rapporto dell’Ipcc, nel quale si dice che la differenza tra un 1,5°C e 2°C (ammesso di Parigi) potrebbe essere catastrofico.”

 

Pubblicato a ottobre, il rapporto dell’Ipcc avverte che rimangono soltanto 12 anni per evitare un aumento della temperatura terrestre superiore a 1,5°C rispetto ai valori del 1990. 

 

Alla fine il rapporto dell’Ipcc , rifiutato da alcuni dei Paesi emettori più grandi (USA, Russia oltre all’Arabia Saudita e il Kuwait), non è stato nè respinto nè accolto dai Paesi presenti al summit che si sono limitati a ‘ricevere favorevolmente’ il suo completamente. Un compromesso infelice che allontana la risoluzione del problema ed è destinato a suscitare nuove polemiche.

 

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