Da Bolsonaro a Orbán, la mappa del (nuovo) mondo sovranista
Nel mosaico di un mondo virato sempre più a destra, si aggiunge un nuovo tassello, Jair Bolsonaro. Il nuovo presidente del Brasile è arrivato al Congresso per il giuramento a bordo di una Rolls Royce decappottabile d’epoca, scortato da militari a cavallo, in mezzo a schiere di sostenitori festanti. In un discorso inaugurale durato appena dieci minuti, ha promesso che creerà “un patto nazionale” per un “nuovo Brasile”, che “sarà liberato dalle costrizioni ideologiche, rispetterà la sua tradizione giudeo-cristiana e combatterà contro l’ideologia di genere senza discriminazioni né divisioni”. Bolsonaro, a capo di un governo di destra populista, è tornato sul tema della sicurezza, centrale in campagna elettorale, confermando l’ampliamento del diritto alla legittima difesa. In campo economico, ha promesso “riforme strutturali” che promuovano un circolo virtuoso di lotta alla corruzione, alleggerimento della burocrazia e attrazione di capitali esteri.
Ha terminato con uno dei suoi slogan più usati: “Il Brasile prima di tutto, Dio prima di tutto”. Già durante i suoi 27 anni in Congresso, che hanno preceduto la sua elezione, l’ex militare si era distinto per un’accesa retorica contro l’omosessualità, l’aborto, la liberalizzazione delle droghe e il secolarismo. Immediatamente sono arrivati i complimenti del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha assicurato la collaborazione del suo Paese all’attività di governo. Bolsonaro è l’ultimo dei molti leader di destra che hanno conquistato maggioranza e consensi nei propri Paesi. Nel 2018 gran parte dell’elettorato mondiale è andato alle urne col coltello tra i denti, per sanzionare un estabilishement che l’aveva deluso, un sistema corrotto, e per proteggere a tutti i costi uno stile di vita minacciato da globalizzazione e immigrazione.
L’Italia non è un caso isolato: quest’anno in tutta Europa, e non solo, la destra sembra aver saputo capitalizzare meglio il malcontento rispetto alla sinistra. In Spagna, il successo alle elezioni andaluse del partito Vox ha segnato l’ingresso dell’estrema destra nella politica mainstream. La Svezia, dove si sono tenute le elezioni a settembre, fatica ancora a formare un governo, destabilizzata dal grande successo riscontrato dal partito di estrema destra Democratici di Svezia e dal calo del consenso per i partiti tradizionali. Il leader nazionalista Viktor Orbán è stato riconfermato in aprile alla testa dell’Ungheria, e in Austria il partito populista Freedom Party (FPÖ) è entrato nella coalizione di governo puntando su una retorica anti-immigrazione. In Slovenia il partito xenofobo SDS ha raccolto il maggior numero di voti alle elezioni di quest’anno.
Mentre il Messico rappresenta uno dei rari esempi in cui è stato un uomo di sinistra, Andrés Manuel López Obrador, a cavalcare l’onda populista alle elezioni di quest’anno, la Colombia ha portato al governo Ivan Duque, neofita conservatore oppositore del processo di pace con le Farc. La Turchia quest’estate ha scelto nuovamente la leadership forte e la politica di destra di Recep Tayyip Erdogan, e il 25 luglio il Pakistan ha eletto Arif Alvi, una star del cricket riconvertita in leader anti sistema.