Perché Sea Watch 3 non è andata in Tunisia

In questi giorni, dopo la trasmissione Tagadà (La7) si è parlato di Sea Watch, di porti sicuri e del perché la ONG doveva andare in Tunisia. Ecco come è andata

L’intervento andato in onda il 29 gennaio 2019 a La7 della professoressa Elda Turco Bulgherini, esperta di diritto internazionale e partecipante alla stesura del programma di “Noi con Salvini” nel 2015è diventato un punto di riferimento per chi vuole contestare l’operato della Sea Watch 3. Si è parlato di porto sicuro, di responsabilità di coordinamento e della Tunisia, ma ci sono dei punti che vanno chiariti.

Le domande poste dalla conduttrice del programma Tagadà, Tiziana Panella, avevano come obiettivo individuare le responsabilità dei vari protagonisti della vicenda e in particolare chi decide il porto sicuro dove far sbarcare i migranti a bordo di un’imbarcazione come la Sea Watch 3. Alla fine non si è mai parlato di porto sicuro, ma di porto più vicino, due cose molto diverse tra loro.

Il porto sicuro

In parole semplici, un porto sicuro (“place of safety”) è quel luogo dove chi sbarca non rischia la propria vita o la propria incolumità, dove non sia lasciato in condizioni inumane o degradanti, dove la sua vita o la sua libertà non vengano meno. La Libia non è un porto sicuro e lo dice lo stesso governo Conte per voce del ministro degli Esteri Enzo Maovero Milanesi che, durante una conferenza stampa di ottobre 2018, aveva dichiarato che «La nozione di porto sicuro e di Paese sicuro è legata a convenzioni internazionali, che attualmente non sono state tutte sottoscritte dalla Libia».

Durante l’intervista la professoressa Elda Turco Bulgherini dichiara che Sea Watch 3 doveva andare in Tunisia «perché è il porto più vicino», ma mancano delle informazioni a riguardo che non sono state dette durante il suo intervento in trasmissione. Nel frattempo è bene ricordare che nel 2018 l’UNHCR aveva ritenuto la Tunisia porto sicuro, nonostante le perplessità riguardo le domande di asilo, anche se la vicenda di Sea Watch 3 ci racconta un ulteriore grosso problema.

Perché Sea Watch 3 non è andata in Tunisia

Sea Watch 3 si stava dirigendo verso l’isola di Lampedusa a seguito di una convocazione da parte della procura della Repubblica di Agrigento. Preoccupati per una forte perturbazione proveniente da nord ovest, l’equipaggio della ONG aveva richiesto al JRCC olandese (“Joint Rescue Coordination Centre”) un porto di rifugio (POR). Le autorità olandesi, in accordo con quelle italiane, avevano individuato la Tunisia come luogo dove dirigere la nave impegnandosi a contattare le autorità locali per conto di Sea Watch. Non avevndo ottenuto risposta dalle autorità tunisine, al capitano della nave non rimaneva altro che puntare a nord est, evitando l’arrivo del brutto tempo, dirigendosi verso la Sicilia visto che anche Malta non era disposta.

Bisogna precisare che il JRCC olandese non aveva imposto al comandante della Sea Watch 3 di dirigersi verso la Tunisia in quanto luogo dove sbarcare, così come che l’atteggiamento delle autorità tunisine dimostra una chiara intenzione nel non voler confermarsi «porto sicuro».

Perché Sea Watch 3 non è andata in Tunisia foto 1

Il Messaggero |Il percorso della Sea Watch (Il Messaggero, 28 gennaio 2019)

Il comandante ha commesso reato dirigendosi verso l’Italia?

La decisione del capitano della Sea Watch 3 era stata letta sotto un’altra ottica da molti commentatori,  arrivati a sostenere che avrebbe disatteso gli ordini dirigendosi ugualmente verso l’Italia. Il procuratore di Siracusa, Fabio Scavone, aveva affermato il 28 gennaio che «non ha commesso alcun reato e non è stata neppure presa in considerazione al momento l’ipotesi di un eventuale sequestro della nave», inoltre «ha salvato i migranti e scelto quella che appariva la rotta più sicura in quel momento».

Ulteriore conferma arriva il 2 febbraio 2019 dal procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, il quale comunica che «In tale situazione non può pertanto ritenersi ingiustificata la scelta del comandante della motonave di dirigersi a partire dal 21 gennaio verso Nord alla ricerca di un POS» e, infine, «Dalle risultanze investigative non è emerso, pertanto, alcun rilievo penale nella condotta tenuta dai responsabili della Sea Watch 3».

Chi decide in quale porto attraccare?

Nell’intervista vengono tirate in ballo due posizioni, che però creano confusione. Inizialmente si sostiene che la decisione viene data all’autorità competente della SAR (acronimo di “ricerca e soccorso”), in quel caso la Libia. Successivamente, nel caso l’imbarcazione si trovasse in acque internazionali, alla nazione battente nella bandiera sulla nave, dunque l’Olanda e non la Libia.

La Sea Watch 3 si trovava nella SAR libica, ma le autorità di Tripoli non si erano prese carico della gestione. In mancanza di un coordinamento la Sea Watch 3 aveva seguito le istruzioni del Paese battente bandiera a bordo della nave, l’Olanda. Nel frattempo, il 22 gennaio Repubblica aveva tentato invano di contattare il coordinamento libico tramite i cinque numeri di telefono presenti nel sito dell’IMO, ottenendo risposta solo da uno di questi ed esclusivamente in lingua araba, nemmeno in inglese.

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