Così è nato lo scatto di Marco Gualazzini, tra i finalisti del «World Press Photo»

Il lavoro di Marco Gualazzini è tra i finalisti italiani del «World Press Photo», il più prestigioso premio di fotogiornalismo al mondo, sia per il titolo di «Foto dell’Anno» che per quello di «Miglior Storia dell’Anno». L’intervista di Open 

«È difficile rimanere insensibili agli Almajiri», ammette Marco Gualazzini. Questi gruppi di ragazzi nigeriani erano originariamente «coloro che lasciano la casa per intraprendere la via del signore». Allontanati dalle famiglie, perseguivano un’educazione islamica. Oggi sono ragazzi vulnerabili, profughi o orfani che si riuniscono in gruppo per difendersi e sopravvivere. Ce ne sono circa 7 milioni che chiedono l’elemosina, studiano il corano e vanno a dormire nelle madrase, le scuole coraniche.


Il giorno in cui ha scattato Almajiri boy, in lizza al World Press Photo tra le migliori foto dell’anno, Marco si trovava a Bol, sul lago Ciad, quando ha visto un gruppo di ragazzi. «Avevano improvvisato una partita a calcio con una pallina improbabile» racconta il fotografo parmense, e continua: «Sono arrivato e come al solito sono diventato il protagonista. I bambini vedono un bianco vestito come Indiana Jones che fa delle foto, si fanno fare degli scatti di gruppo, poi posano come i rapper. Ho aspettato e aspettato, fino a quando si sono stancati della novità e hanno ricominciato a giocare tra loro».


Ed è lì che Marco ha scattato la foto che l’ha reso il primo fotografo ad essere nominato contemporaneamente per miglior foto e miglior storia al concorso internazionale. L’immagine ritrae uno dei giovani orfani che cammina davanti ai murales disegnati dai suoi compagni: dei lanciarazzi Rpg. «Per loro l’unica realtà possibile è la fame, la guerra e muoversi in branco», spiega il fotografo.

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Marco Gualazzini |Africa, Ciad, Dar Es Salam,15 ottobre 2018. L’erosione del lago Ciad ha provocato più di due milioni di rifugiati, 500.000 bambini soffrono di malnutrizione acuta

Oltre la singola immagine c’è la storia di tutto il Lago Ciad, prosciugato al 90% dal cambiamento climatico. I profughi ambientali creati dalla desertificazione diventano obiettivi facili per i terroristi di Boko Haram, che scendono in piroga dalla Nigeria. Ai nullatenenti a volte ridotti a bere l’acqua inquinata del lago, gli islamisti promettono il paradiso. Li allontanano, li addestrano, poi li rimandano indietro a saccheggiare la loro terra. «Io non sono un fotografo naturalista, quando il mio collega Daniele Bellocchio mi ha proposto di fotografare un lago ero scettico, poi ho capito che avrei potuto raccontare questa crisi dal lato umano, tramite i combattenti di Boko Haram che si sono pentiti, o quelli che sono salvati», racconta Marco.

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Oltra la storia c’è il fotografo, quarantadue anni, di cui la maggior parte spesi a seguire storie di uomini e donne lontani. Un padre giornalista, poi all’università i racconti di Gianluigi Colin, storico art director del Corriere della Sera. Erano gli anni ‘90 e Colin parlava del genocidio in Rwanda, di Salgado e di Nachtaway. «Forse avevo qualcosa da dire e a parlare non sono bravissimo, a scrivere ancora peggio, stavo cercando un modo di esprimermi e la fotografia era il mezzo più adatto».

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Marco Gualazzini |Africa, Ciad, Melea, ottobre 2018. Ababakar Mbomi, un attivista anti-jihadista, è stato ferito con 11 spari di pistola durante l’operazione di rapimento di sua moglie

È partito quindi, alla scoperta della microfinanza in India, della libertà d’espressione respressa in Myanmar, delle discriminazioni contro i cristiani in Pakistan. Poi nell’Africa Sub-sahariana, in Congo, in Ciad. Le sue foto sono state pubblicate sul New York Times, Al-jazeera, The Sunday Times, l’Espresso. Quest’anno Marco ha pubblicato anche un libro, Resilient, (Contrasto 2019).

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Marco Gualazzini |Africa, Ciad, Bol, 16 ottobre 2018. L’ospedale di Bol l’unico nell’intera regione. Le malattie più comuni sono malnutrizione, malaria e AIDS

Resilient parla della facoltà dell’Africa di adattarsi alle difficoltà e al cambiamento. L’estetica curata e personale conferisce un forte valore artistico ai lavori di Marco, che rimane però focalizzato sul racconto della realtà che si trova davanti.

«Il mezzo della mostra può confondere, c’è il rischio di pensare alla fotografia come opera d’arte, concentrarsi sulla luce e la prospettiva dimenticando il contenuto. È come per i premi fotografici: gli spettatori rischiano di celebrare l’autore, quando davanti a loro ci sono dei drammi, persone con nomi e cognomi».

Insieme a Marco, anche Lorenzo Tugnoli è in lizza per il World Press Photo 2018, con il suo racconto fotografico sulla crisi dello Yemen. Per la categoria General News c’è anche un altro italiano, Daniele Volpe, con un progetto su diritti umani e giustizia sociale in America Latina.

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Marco Gualazzini |Africa, Ciad, Dar es Salam. 17 ottobre 2018. Grave crisi umanitaria nel bacino del lago Ciad

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