Economia circolare e nuovi lavori, perché si può

Il lavoro e la tutela dell’ambiente sembrano essere in contraddizione, ma non è così. Perché l’economia circolare potrà portare 6 milioni di posti di lavoro e quali sono i rischi di tutto questo

Lavoro e ambiente potrebbero sembrare due acerrimi nemici. Se pensiamo al mondo dell’industria, nato e cresciuto in un momento storico nel quale di ambiente non si parlava, la cosa sembra certa. Le grandi fabbriche producono e creano occupazione, ma allo stesso tempo inquinano, e riconvertirle verso una produzione verde avrebbe costi talmente elevati da incidere negativamente sull’occupazione. Più inquinamento, più lavoratori, quindi.


Questo avrebbe portato i lavoratori e i sindacati a non difendere l’ambiente negli scorsi decenni scegliendo quello che hanno ritenuto essere il male minore, ossia la difesa del lavoro. Politiche ambientali versus politiche economiche quindi, e subito viene alla mente il recente caso dei gilet gialli in Francia fomentati dal costo della benzina o il più complicato caso ILVA, nel quale le conseguenze ambientali hanno avuto impatti diretti e diffusi sulla salute delle persone.


Ma negli ultimi anni le potenzialità tecniche ci stanno portando a poter superare questo rapporto di esclusione tra lavoro e ambiente. Al contrario oggi questi possono parlarsi ed aiutarsi reciprocamente, a patto però che la sostenibilità dell’ambiente venga posta al centro dell’azione dei lavoratori e delle imprese. Infatti sebbene vi sia un numero crescente di norme nazionali che incidono sulle modalità di produrre, sulle emissioni e sugli sprechi è inevitabile che comportamenti che danneggiano l’ambiente siano oggi ancora possibili.

Il tema è quindi complesso: pensare di risolvere i problemi in poco tempo è utopia e non esistono bacchette magiche. Ma iniziano a circolare studi e previsioni che mostrano come proprio l’investimento nell’ambiente potrebbe portare alla creazione di molti posti di lavoro, cancellandone allo stesso tempo altri.

I nuovi lavori dell’economia circolare

In particolare parliamo della possibilità che l’economia circolare stessa generi nuovi lavori. L’International Labour Organization (ILO) in un recente rapporto stima, ad esempio, una crescita globale dell’occupazione dello 0,1% (circa 6 milioni di posti di lavoro) entro il 2030 in virtù della CE. Si tratta di stime nette che sono le risultanze di nuovi lavori e di lavori che diminuiranno. L’ILO prevede infatti un calo di circa 28 milioni di posti di lavoro nel settore della manifattura legata alla produzione di ferro e acciaio o 20 milioni di posti di lavoro nell’ambito dell’estrazione di rame.

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Allo stesso tempo ci sarebbe una crescita di circa 31 milioni di posti di lavoro nelle imprese che riprocessano l’acciaio vecchio per renderlo nuovamente utilizzabile e 14 milioni di posti di lavoro nel settore della produzione di elettricità con pannelli solari. Scendendo poi verso settori con numeri più bassi l’elenco si allunga. Il crescitasi avrà nel settore del commercio all’ingrosso (14 milioni), della vendita, manutenzione e riparazione di motoveicoli, parti di motoveicoli, motocicli e loro parti e accessori (4,7milioni), attività di rilavorazione del legno usato in legno nuovo (5 milioni) e della ricerca e sviluppo (3,5 milioni). Ad oggi in Italia si stimano circa 510mila persone occupate nei settori del riciclo, della riparazione e del riutilizzo.

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Davanti a queste previsioni si pongono almeno due questioni fondamentali. La prima è che certamente l’economia circolare non è una soluzione a breve termine e soprattutto non può avere un impatto a breve termine su tutti i settori produttivi. Questo però non deve essere la scusa per non muoversi in questa direzione, ma solo per cercare nel frattempo altre strade che rendano sostenibili anche gli attuali processi produttivi.

La seconda è che non si può ignorare che il passaggio dall’attuale paradigma produttivo a quello dell’economia circolare rappresenti anche un rischio per i lavoratori, come abbiamo visto dai numeri dell’ILO. Ed è proprio questo che preoccupa. Per questo è necessario accompagnare la narrazione positiva dei benefici con lo sviluppo di politiche di riqualificazione dei lavoratori per accompagnarli dai lavori che scompariranno a quelli che si potranno creare.

Non si tratta solo di lavori altamente qualificati per i quali è più difficile formare lavoratori dalle basse competenze. Ci sono anche professioni molto operative come l’addetto al riciclo che ha il compito di smistare i rifiuti tra riciclabili e non, o profili tecnici relativamente semplici come l’installatore di pannelli solari che complesse come i tecnici applicati che intervengono sui macchinari e sui prodotti per allungare il loro ciclo di vita sulla base delle nuove innovazioni tecnologiche intercorse tra la produzione iniziale e il suo intervento.

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