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La Corte europea per i diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per l’Ilva di Taranto

25 Gennaio 2019 - 00:29 Redazione
Per la Corte Europea dei diritti umani le istituzioni Italiane non hanno fatto abbastanza per tutelare la salute dei residenti delle zone a rischio. Delle 180 persone che hanno fatto ricorso, 161 dovranno essere risarcite

La Corte Europea per i diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia sul caso Ilva per non avere «protetto i cittadini che vivono nelle aree toccate dalle emissioni tossiche emesse dall’impianto» di Taranto. Secondo la sentenza emessa il 24 gennaio l’Italia è stata condannata per aver violato l’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e l’articolo 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La Corte ha stabilito «che il persistente inquinamento causato dalle emissioni dell’Ilva ha messo in pericolo la salute dell’intera popolazione, che vive nell’area a rischio» e che «le autorità nazionali non hanno preso tutte le misure necessarie per proteggere efficacemente il diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti». I giudici hanno chiesto di assicurare la protezione della salute e dell’ambiente il più rapidamente possibile. Per capire quali potrebbero essere le conseguenze di questa sentenza, Open ha intervistato Paolo Tomassetti, ricercatore di Adapt (Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali).

Come commenta la sentenza della Corte Europea?

«Per i richiedenti è una vittoria a metà, perché la loro richiesta era quella di bloccare subito la produzione alla luce del mancato rispetto delle norme ambientali, cosa che evidentemente la corte Europea non si è sentita di fare come pure non si sentì di procedere in questa direzione la nostra corte costituzionale con la sentenza del 2013».

Cosa succederà adesso?

«Il governo è intimato a procedere alla messa in sicurezza della salute dei cittadini delle zone limitrofe all’Ilva. Tutte le istituzioni italiane competenti – dal Ministero dello Sviluppo Economico al ministero dell’Ambiente, alle autorità locali – dovranno attivarsi affinché vengano rispettate le normative europee sull’ambiente. Ovviamente è previsto anche il risarcimento per i richiedenti che però è piuttosto irrisorio, di 5.000 euro a testa».

Ci possiamo aspettare una risposta decisiva da parte del Governo?

«Il problema è che c’è stato un vero e proprio compromesso sociale attorno a questa vicenda che va avanti dagli anni ‘70. È una questione di lungo termine, di mancate politiche industriali anche di altri governi di altri colori, delle autonomie locali e delle organizzazioni sindacali, che hanno nel tempo procrastinato una situazione di palese illegittimità nei confronti della normative ambientali. E adesso però devono adeguarsi».

Quali sono le conseguenze se non si adeguano?

«Non succederà nulla. La Corte europea può fare poco contro lo Stato se non intimare l’applicazione delle leggi perché sono stati violati dei diritti come il diritto alla vita, individuale e familiare. È un po’ una tigre senza denti. Nel tempo è presumibile supporre che ci sia un impegno di Arcelor-Mittal a bonificare l’aria e mettere in sicurezza gli impianti, ma è sempre un punto di domanda, visto anche quello che è successo negli ultimi trent’anni».

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