Airbnb, la tassa sugli affitti fa acqua da tutte le parti

Introiti per 44 milioni di euro, e cioè solo la metà di quanto previsto dallo Stato che nel 2017 ha introdotto un contributo sugli affitti del portale più famoso al mondo

Airbnb guadagna, lo Stato perde. Il portale online che mette in contatto persone in cerca di un alloggio o di una camera per brevi periodi, com’è noto produce un giro d’affari non indifferente. Alla luce di questo e per parare il colpo a un sistema ancora privo di regole, è stata inserita nella manovra economica del 2017 (governo Gentiloni) una tassa per arginare l’evasione creata appunto dal sistema Airbnb. Nel primo anno di applicazione, la tassa sugli affitti brevi ha prodotto 44 milioni di euro, cioè la metà degli incassi previsti. Praticamente un buco nell’acqua. La somma incassata, secondo i dati elaborati dal Dipartimento delle Finanze nel 2018 e relativi alla dichiarazione dei redditi, riguarda il numero esiguo di coloro che di fatto pagano la tassa: soltanto 7.200 contribuenti. Dopo l’introduzione della tassa, nel 2017 è scattato l’obbligo della cedolare secca. Cioè affittuari, comodatari e intermediari  al momento del pagamento devono applicare una tassa del 21% sul costo dell’affitto. Novità che hanno portato a un contenzioso tra Stato e Airbnb. 


In copertina: Facebook | Il logo di Airbnb