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La regista di “Cafarnao”: «Il mondo va nella direzione sbagliata, per me è un dovere raccontarlo» – L’intervista

11 Aprile 2019 - 23:01 Giulia Marchina
Libanese, ha iniziato con i videoclip musicali. Dopo sono arrivati gli spot commerciali, come quello per la Coca-Cola, e dopo ancora il cinema. La sua ultima pellicola è stata candidata agli Oscar e ai Golden Globe

Nadine Labaki, classe 1974, ha iniziato a stare dietro la macchina da presa quando era giovanissima. Prima come regista di videoclip musicali. Ha realizzato, tra gli altri, il video per la cantante libanese Carla, diventata successivamente una delle vj più famose in Libano. Dopo la collaborazione con Carla gira un altro video musicale che sconvolge l’opinione pubblica perché ritenuto troppo audace. La protagonista è la cameriera di una tavola calda egiziana. Nel 2006 dirige e interpreta Caramel che raccontava l’infibulazione e il divorzio visti dalle donne, in Libano. Poi è stata la volta di E ora dove andiamo; in apparenza solo un musical, ma nella realtà un monito verso le ingiustizie della guerra. Da oggi, 11 aprile, è nelle sale con Cafarnao – Caos e miracoliLa pellicola, che le è valsa anche la candidatura ai Golden Globe e agli Oscar 2019, altro non è che il mondo dei conflitti e della miseria umana visto con gli occhi di un bambino.

Lei ha cominciato facendo la regista di videoclip musicali e realizzando gli spot per la Coca Cola. Poi ha continuato come regista cinematografica, dedicandosi a pop-movies. Perché la decisione di fare qualcosa di impegnato, questa volta?

«Sarebbe davvero un peccato se non mi evolvessi, se non assorbissi. Il mondo va nella direzione sbagliata, e quindi per me come artista è un dovere recepire, vedere e raccontare. È un dovere che ho, e utilizzo il cinema per raccontare quello che succede a me. Specie vivendo in Libano, dove la crisi dei rifugiati siriani è particolarmente percepita, considerato anche che il Libano ha ospitato un milione e mezzo di rifugiati nonostante abbia i suoi problemi. Quando vedi bambini che vivono per strada, ti accorgi che c’è qualcosa di sbagliato e non puoi accettarlo passivamente. Non è stata un’opzione, per me, fare questo film. È stato un appello all’azione».

Il conflitto siriano come ha cambiato il Libano?

«Ha cambiato profondamente sia la parte siriana che quella libanese. Ha cambiato il paesaggio circostante perché è difficile sostenere situazioni del genere. C’è una una profonda contraddittorietà»,

Il ragazzo protagonista del film, Zain al- Rafeea, nella realtà è un rifugiato siriano senza documenti. Come mai la decisione di utilizzare attori non professionisti?

«Ovviamente il film non poteva essere realizzato in un altro modo; se avessi chiesto ad attori professionisti di recitare nella pellicola, quest’opera non sarebbe stata un grido di dolore, una richiesta di aiuto. Cosa che io volevo che fosse. Nel film il bambino non ha connotazione geografica, è solo senza documenti. Questo perchè per me doveva essere simbolica la sua situazione, perchè come lui anche altri vivono lo stesso disagio. Ma lo spettatore non deve sapere da dove proviene, perchè non ha importanza». 

E come lo ha scoperto?

«Con la casting director abbiamo fatto ricerca sul campo: siamo andati a cercare bambini per strada, nei quartieri malfamati, intervistandoli. E Zain è stato scelto immediatamente. Lui è lui, non recita mai».

Perchè ha scelto il punto di vista di un bambino e non di una donna, per esempio? 

«Perchè i bambini hanno più senso. I francesi direbbero che il bambino è la bocca dell’innocenza. I bambini hanno una natura grezza, nulla è stato alterato in loro. Quello che mi sono chiesta è se li stiamo tradendo, se saranno poi loro a pagare il prezzo delle nostre stupide decisioni per il nostro egoistico modo di andare avanti. Hanno bisogno di protezione». 

Conosce la scena politica italiana?

«Sì, ma non nel dettaglio…»

Si è fatta un’opinione sulle politiche di immigrazione italiane? 

«Quello che posso dire è che il rispetto per il prossimo viene prima di ogni cosa: abbattere le barriere, rompere i muri. Il senso di umanità e amore per chi è in difficoltà sono alla base della civiltà. Un bambino è un bambino, non ti ha chiesto di essere qui, di venire al mondo. Ma la stessa cosa vale per le donne e gli uomini, a prescindere dalla nazionalità. Sono persone che scappano dalla miseria e da un mondo in guerra. E un’altra cosa: le navi lasciate in mezzo al mare, con donne e bambini al freddo non mi piacciono». 

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