Manduria: Gabrielli risponde alle critiche sul video, una realtà che esiste e che non si può nascondere

Ancora polemiche sul video della baby gang di Manduria. Il capo della polizia di Stato Franco Gabrielli ci mette la faccia e spiega le ragioni della pubblicazione, difendendo l’operato degli uomini e dell’istituzione che rappresenta

Nella giornata di ieri, mercoledì 8 maggio 2019, è stata presentata a Foggia l’agenda «Il mio diario» della polizia di Stato. Di fronte agli alunni dell’Istituto Comprensivo Da Feltre-Zingarelli, il capo della polizia Franco Gabrielli è intervenuto rispondendo pubblicamente alle polemiche riguardo la pubblicazione del video della baby gang di Manduria, alcune delle quali hanno fatto seguito alle precedenti risposte fornite a Open il 3 maggio scorso. «Recentemente abbiamo preso una decisione forte, quella di pubblicare le immagini relative ai fatti di Manduria. Come al solito le “anime belle”, i “puristi della sensibilità”, ci hanno criticato», risponde alla platea Gabrielli, ricordando che il video è stato reso pubblico nel rispetto dell’autorità giudiziaria.


Gabrielli ricorda Aldo Moro il quale definiva l’Italia un paese passionale e fragile in cui si viveva in una condizione di criticità. Così come allora, parafrasando Moro, il capo della polizia ricorda che «seppur non ci piace, questo è il tempo che ci è dato di vivere». Il concetto che Gabrielli vuole trasmettere è chiaro: bisogna osservare il male nella sua crudezza e nella sua realtà, in modo tale da renderci conto di ciò che avviene per non esserne indifferenti, perché voltare lo sguardo da un’altra parte è «assolutamente la cosa più insopportabile». Un intervento che si ricollega alla lettera di Giletti inviata a Open: «Abbiamo paura di vedere il male? Abbiamo timore che le immagini della violenza subita da un uomo incapace di difendersi da un gruppo di ragazzini di Manduria possa scuotere le nostre coscienze e aprire un dibattito serio su ciò che sta succedendo nella nostra società? Direi di sì, vista la reazione di alcune persone».


Sono testimonianze di qualcosa che esiste e che non si può nascondere. Diluendo i fatti, proponendo illusioni e false rappresentazioni, motivati da un senso di vergogna o per paura, non potremmo vedere con i nostri occhi la dura realtà che spesso viene ignorata. A Manduria c’è stato troppo silenzio, a più livelli, in particolare da parte di chi questi ragazzi li conosceva personalmente così come era a conoscenza delle loro, come qualcuno ha osato definire, «ragazzate». Online non mancano i video di episodi simili, registrati con il cellulare di qualche ragazzino esaltato dal poter prendersela con chi viene considerato un «povero sfigato» o un «pazzo». Un video pubblicato nel 2012 su Youtube, dal titolo «Manduria – visita al pazzo del quartiere», era rimasto in sordina e completamente ignorato fino ad oggi, ottenendo migliaia di visualizzazioni e ottenendo i suoi primi commenti.

«La gente qua ha anche paura di parlare», racconta ai microfoni di La7 un cittadino di Manduria. C’è sconcerto, c’è vergogna per quanto è accaduto, ma non per la diffusione del video quanto piuttosto il fatto avvenuto e del «forse si poteva evitare». Purtroppo è troppo tardi per la vittima, Antonio Stano, ma frasi incredule come «Questo lo dici tu!», «Stai esagerando!», «Sono ragazzate!», oggi vengono letteralmente zittite anche grazie a un video tanto contestato che dimostra l’orrore e l’accanimento compiuto da quei «ragazzini».

Oggi c’è chi si domanda se attraverso la legge sulla legittima difesa e il possesso di un’arma si poteva evitare tutto ciò. Ci saremmo trovati un ragazzo, un minorenne, morto a terra senza alcuna possibilità di rieducazione. Forse è meglio intervenire prima, rendendo nota la realtà a un pubblico più vasto possibile per saperla affrontare, consapevoli che i commenti negativi nei confronti dei minorenni non sarebbero comunque mancati anche in assenza del video, reazioni scomposte che vanno individuate ed eliminate come la polizia ha fatto.

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