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Cosa fa un italiano quando trova in terra un portafoglio smarrito

23 Giugno 2019 - 15:59 Redazione
Un pool di ricercatori coordinati dall'Università del Michigan ha inscenato 17 mila episodi di soldi fintamente persi da qualcuno e valutato il comportamento delle persone che li trovavano

Alla fin fine, tirate tutte le somme, possiamo considerarci onesti. Non siamo noi a dirlo e a dircelo – sarebbe troppo facile – ma una singolare ricerca internazionale che ha dato questo risultato, a sorpresa. Meglio, un esperimento empirico quanto seriale, replicato per ben 17 mila volte.

Si tratta dell’equivalente di 17 mila casi o “finti casi” di “portamonete smarriti in luoghi diversi (hotel, tribunali, banche, negozi, uffici postali e musei) di 355 città dislocate in 40 Paesi” si legge sul Corriere della Sera del 22 giugno. Ancora meglio, di casi costruiti ad arte. Portafogli disseminati e abbandonati nei luoghi sopra elencati, che un improvvisato raccoglitore prende da terra e rivolgendosi alla persona che si trova più vicino e individuata a caso le dice: «Può restituirlo lei? Io al memento non ho tempo, sono impossibilitato a farlo».

Più soldi, più restituzioni

Risultato? «Ebbene, dicono i risultati, nella maggior parte dei casi le persone hanno restituito il portafoglio contenente soldi, biglietti da visita e in alcuni casi una chiave» si può leggere sul quotidiano milanese. E il dato forse più interessante è che «la percentuale delle restituzioni è aumentata con l’ammontare dei soldi» mentre «senza denaro è stato restituito nel 40% dei casi, nel 51% con una piccola somma (circa 13 dollari) e nel 72% con una quantità maggiore (94 dollari, condizione questa testata solo in Regno Unito, Stati Uniti e Polonia)».

Altruismo e benessere altrui

Incredibile dictu? No, secondo i ricercatori. Secondo il capo ricerca Alain Cohn dell’Università del Michigan l’analisi dimostra che «le persone tendono a preoccuparsi del benessere degli altri e hanno un’avversione a considerare se stessi come un ladro». E quindi in una certa misura la ricerca finirebbe con lo sfatare «la convinzione di chi pensa che i comportamenti umani siano regolati dall’egoismo e dal l’interesse individuale materiale».

La ricerca

A mettere in pratica la ricerca è stata una pattuglia di ricercatori svizzeri e americani che si sono anche improvvisati attori. L’obiettivo era, appunto, verificare il comportamento umano, per ricavarne una sorta di tasso di onestà. E si può dire che l’esperimento sia perfettamente riuscito. I risultati del lavoro sono stati poi diffusi dalla rivista Science. Ma la vera sorpresa per i ricercatori deriva dall’enfasi data dai media internazionali che ha provocato delle reazioni. Così l’equipe di ricerca è passata a sondare l’opinione 279 tra economisti ed esperti e un campione di 300 americani, i quali – quasi tutti – avevano messo nel conto (erroneamente) un comportamento degli interessati a restituire “il malloppo” affidato loro molto meno virtuoso.

Spiega così Giancarlo Cerveri, psichiatra, esperto comportamentale: “Il comportamento onesto è di chi sa che tale appartenenza è fondamentale per la sua sopravvivenza. Se si avvantaggia personalmente va contro il suo interesse. Resta isolato. I risultati sono in linea con l’evoluzione dall’Homo Sapiens in avanti».

Il dato interessante della ricerca condotta dalle università di Zurigo, del Michigan e dell’Utah riguarda ora la classifica dei virtuosi. I primi della classe si sono dimostrati i cittadini svizzeri, norvegesi, dei Paesi Bassi, danesi e svedesi. Coloro i quali si sono comportati meno bene sono cinesi, marocchini, peruviani, kenioti e del Kazakistan. E gli italiani? Giusto nel mezzo. Né troppo onesti, né troppo ladri. Equilibristi. Camminano perfettamente sul filo.

«I valori culturali locali e il sistema politico sembrano influenzare” osserva la Repubblica. “Ad esempio, più storicamente sono forti i legami familiari in un Paese, meno vengono restituiti i portafogli: l’Italia appare meno civica della Francia. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che le persone sono più abituate a preoccuparsi del loro piccolo gruppo rispetto agli estranei”, spiega Christian Zund, dottorando dell’Università di Zurigo.

di Alberto Ferrigolo per AGI

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