Perché Salvini sbaglia a pubblicare il video del bambino allontanato dal padre

Il ministro dell’Interno ha pubblicato le immagini senza però conoscere i motivi che hanno portato all’allontanamento del minore: abbiamo letto le carte

Un video di un bambino allontanato dal padre pubblicato inizialmente da un attivista del Movimento 5 Stelle, che prendeva di mira Zingaretti e Salvini, è stato successivamente ripreso dai sostenitori del leader della Lega per parlare del caso Bibbiano in antitesi con il caso Savoini e la Russia. Il caso relativo a quello specifico video, come raccontato in un articolo di Open di domenica 14 luglio 2019 mattina, non risulta avere alcun legame con le vicende di Bibbiano e la Onlus Hansel e Gretel, ma nonostante ciò il Ministro dell’Interno ha ben pensato di riproporlo alle ore 13:04 ai suoi quasi 5 milioni di followers tra Facebook e Twitter:

Il post Facebook di Matteo Salvini e il video che ha totalizzato ad oggi un milione e centomila visualizzazioni da domenica 14 luglio 2019

«Solo pochi anni fa, in provincia di Sassari, un bimbo veniva strappato da suo padre e mandato, tra le urla, in una casa famiglia. Chissà quanti altri piccoli hanno subito atrocità simili. Mentre altri si occupano di fantasie, noi lavoriamo sui problemi concreti: riforma del diritto di famiglia e inchiesta sulle case famiglia, giù le mani dai bambini!», scrive Salvini nel suo intervento social, ma il ministro è a conoscenza dei fatti avvenuti nel 2017 e negli anni successivi? Open ha avuto modo di consultare le sentenze che riguardano questa triste vicenda in cui andava tutelato il bambino e la sua famiglia.

Di cosa stiamo parlando, in sintesi

Innanzitutto si tratta di una vicenda tutta giudiziaria dove i servizi sociali sono intervenuti in seguito a sostegno della situazione riscontrata dalle autorità competenti. Oltre alla perizia di un CTU, estraneo e non collegabile con la Onlus Hansel e Gretel, vi sono i provvedimenti del tribunale di Tempio Pusania, due sentenze (primo e secondo grado) e un’ordinanza di allontanamento nei confronti del padre che riporta fatti incresciosi nei confronti della madre.

Il comunicato del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi dove viene chiesto rigore e trasparenza sui fatti di Reggio Emilia, ma senza confusione o strumentalizzazioni.

Non ci troviamo davanti alla presenza di una Onlus o di operatori intenti a convincere il minore ad allontanarsi dai propri genitori, ma di fronte a un padre che ha operato negli anni nella distruzione della figura materna con lo scopo di danneggiare quest’ultima.

Gli atteggiamenti e le azioni del padre, tra i quali le riprese e la pubblicazione del video poi condiviso anche dal ministro dell’Interno, avevano ottenuto come risultato attacchi violenti, sessisti e minacciosi nei confronti della madre da parte di soggetti terzi non coinvolti nella vicenda familiare. Tra i commenti riscontrati sui social anche quelli di persone che la ritenevano meritevole di essere sfregiata con l’acido.

La situazione del bambino durante la permanenza con il padre venne ritenuta inadeguata. Durante gli appuntamenti antecedenti all’allontanamento, risultava trascurato nell’igiene e nell’abbigliamento, oltre che in condizioni che presentavano criticità importanti sul versante cognitivo-comportamentale. Attualmente, a seguito delle vicende giudiziarie, il bambino vive in ottime condizioni insieme alla madre e al suo attuale marito.

I presunti collegamenti con Hansel e Gretel nati sui social

Secondo alcuni utenti e autori di siti vicini alla Lega, dietro a questa storia ci sarebbe «la stessa Onlus Hansel e Gretel con gli stessi personaggi indagati».

Il tweet di Luca Mussati di Scenarieconomici.it dove sostiene con certezza che dietro la vicenda del bambino “c’è la Onlus Hansel e Gretel”.

Questa narrativa nasce dalle discussioni Twitter che fanno seguito alla diffusione del video da parte dell’utente Antonio Quinto (@AntonioDvx) dove è stata individuata – senza alcuna prova – la responsabile dei servizi sociali del comune di Loiri Porto S.Paolo che avrebbe frequentato dei corsi assieme a Claudio Foti della Hansel e Gretel.

I tweet dell’utente Valeria KindQ (@VKindq) dove riporta il nome della responsabile dell’ufficio servizi sociali del comune di Loiri Porto San Paolo.

In alcuni siti è circolato un altro nome, quello della dirigente del Servizio Pisco Sociale dell’ASL di Sassari che viene in qualche modo associata alla perizia definita nel 2017 «fantasiosa». La sua colpa? Aver fatto parte di un convegno insieme a Claudio Foti.

L’articolo di Stefano Alì sul sito Ilcappellopensatore.it dove sul video fa un collegamento, senza aver mai letto le carte del caso, con la dirigente di Sassari.

In realtà, chi ha realizzato la perizia contestata da una Onlus milanese, la stessa che aveva diffuso il video che oggi come nel 2017 crea tutto questo clamore, è stato un medico chirurgo specialista in Neuropsichiatria Infantile in qualità consulente tecnico d’ufficio (CTU) incaricato dal tribunale di Tempio Pusania. Non risultano collegamenti con Claudio Foti e la Onlus Hansel e Gretel e non vi è alcuna presenza di quest’ultima nel processo così come nelle successive attività legate alla vicenda del bambino.

La perizia del CTU

I protagonisti della vicenda, i genitori e il bambino, vengono sottoposti a degli incontri dove raccontano diversi episodi al fine di valutare la situazione. Dalla lettura della perizia, datata febbraio 2017, si evidenziano delle criticità riguardanti gli atteggiamenti del padre, il quale si porrebbe in tutte le situazioni in chiave «vittimistica o autocelebrativa» esternando le colpe di qualunque evento fallimentare rifiutando qualunque attribuzione di responsabilità. Atteggiamenti in ottica costantemente complottistica, secondo il CTU, che portano l’uomo a squlificare qualunque figura professionale attribuendo a sé stesso capacità professionali e culturali che non gli appartengono.

Da parte del padre c’è stata un’opera di convincimento al fine di allontanare il minore dalla figura materna tanto che durante i colloqui per accertarne la situazione il bambino si allontanava dalla stanza per ricevere conferma delle sue risposte al padre stesso. Il processo di convincimento veniva riscontrato anche nelle paure dimostrate dal bambino a bordo dell’auto dell’uomo, nascondendosi in terra dietro il sedile del guidatore quando passavano con l’auto a Lori Porto San Paolo, luogo a cui veniva ricondotta la presenza della madre dal quale il minore era stato convinto a difendersi e nascondersi per non essere trovato.

Il bambino non voleva andare a Porto San Paolo non per gli assistenti sociali, ma per alcuni utenti il collegamento risulta “evidente”.

Il bambino, durante gli incontri precedenti all’allontanamento, risultava trascurato nell’igiene e nell’abbigliamento, le unghie erano orlate di nero anche sotto il letto ungueale e i capelli sporchi. Non conosceva né la data né la mensilità del suo compleanno, non comprendeva i rapporti di parentela, faticava persino a raccontare il suo quotidiano e ciò che aveva fatto durante le vacanze. Il padre, inoltre, non portava il bambino presso la scuola materna.

Secondo il CTU, il bambino diventa per il padre l’unico modo per punire la donna e non conosce né si interessa dei suoi bisogni delegandogli, in modo gravemente impriorio per la sua età, il compito di «autodeterminarsi e scegliere per sé». Nella perizia si evidenzia un atteggiamento dove, rifiutando il parere delle autorità, minaccia di poter accedere a pensieri di morte nel caso gli venga privato il bambino.

Verso la madre il padre presenta, secondo il CTU, una volontà sadica di punizione, denigrazione, squalifica, esclusione e privazione. Risulta, dunque, lontano dal comprendere i bisogni del figlio inducendo in lui angoscia di perdita, terrore della figura materna, negazione dei suoi affetti affinché nessun passo possa essere fatto dal bambino senza il suo controllo. Tra le conclusioni, il CTU aveva ritenuto il padre meritevole di intervento psicoterapico a lungo termine.

La vicenda giudiziaria

Precedentemente all’allontanamento del bambino, ripreso a video dal padre stesso, i servizi sociali avevano tentato di concordare la migliore situazione per non rendere il momento del distacco dal padre così forte, ma quest’ultimo non ha collaborato affatto. Pochi mesi dopo il tribunale aveva disposto l’affidamento esclusivo alla madre, mantenendo un rapporto con il padre in forma protetta nelle modalità e nei tempi definiti dai servizi sociali. Per entrambi i genitori veniva richiesto l’impegno a collaborare con gli operatori per riacquistare un ruolo genitoriale responsabile.

Il Tribunale di Tempio Pausania.

A seguito della perizia e dell’allontanamento del bambino dal padre, l’assistente sociale di Olbia aveva confermato che quest’ultimo stava seguendo un percorso psicoterapico presso un centro di salute mentale e veniva seguito da uno psichiatra e dalla psicologa. Il bambino, affidato esclusivamente alla madre, risultava in buono stato di salute fisica e mentale.

Gli incontri con il padre avvenivano in forma protetta, dimostrando agli operatori lievi miglioramenti che avevano poi portato il tribunale a decidere di ripristinare il regime di affidamento condiviso, con residenza del minore presso la madre, attraverso un graduale riavvicinamento in presenza di una figura neutrale. Il padre era tenuto a continuare il suo percorso presso il centro di salute mentale e alle terapie ritenute necessarie dagli esperti.

Nella sentenza del giugno 2018 il tribunale vietava ad entrambi i genitori di manifestare la loro conflittualità alla presenza del figlio e di pubblicare immagini, o commenti, riguardanti il minore su siti internet o su social network.

Il padre, non soddisfatto della sentenza in primo grado, decide di proseguire in appello ottenendo la perdita dell’affidamento condiviso a favore di quello esclusivo della madre. La sentenza arriva nel dicembre 2018, circa sei mesi dopo la precedente. Tra i divieti del tribunale, il padre aveva disatteso anche quello relativo l’utilizzo dei social utilizzandoli per commentare le vicende legate ai rapporti con la madre. I giudici della Corte d’Appello avevano rilevato uno stato di conflittualità eccessivamente grave ed insostenibile per il minore tale da compromettere qualsiasi possibilità di gestione condivisa.

Arriviamo al 2019 quando giudice per le indagini preliminari del tribunale di Tempio Pausania dispone tramite un’ordinanza il divieto di avvicinamento del padre a seguito di condotte reiterate in cui minacciava e molestava l’ex compagna. Nel documento del giudice vengono riportati numerosi episodi legati anche alla sfera social: a seguito della parziale ricostruzione della sentenza in primo grado l’uomo aveva posto attraverso le sue pubblicazioni soggetti terzi – non coinvolti nella vicenda – nella condizione di esprimere il proprio astio nei confronti della donna, arrivando a minacciarla.

Nell’ordinanza si leggono ulteriori elementi. L’uomo, al fine di ottenere materiale utile contro di lei, la pedinava e la filmava – minacciando pubblicazioni di video sulla sua vita privata – ogni volta che la vedeva comunicandogli via sms i luoghi e gli orari.

L’attacco di Salvini alle TV su un caso che non conosce affatto

Matteo Salvini, ignorando le sentenze e dunque dei fatti riscontrati dai giudici, pubblica un video registrato dallo stesso padre del bambino utilizzato inizialmente da una Onlus per criticare i giudici e successivamente rimosso al fine di tutelare il minore. Di fronte a questa carenza di informazioni, il leader della Lega nelle sue pubblicazioni social affonda contro le televisioni accusandole di aver nascosto «questi scandali» includendo di fatto – ingiustamente – anche quello del video pubblicato alla vicenda di Bibbiano.

I tweet di Salvini con il video del bambino.

Al fine di garantire la tutela del minore, Open non riporterà e non fornirà – se non necessario ed eventualmente nelle sedi opportune – informazioni utili all’identificazione dei protagonisti della vicenda.

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