Prevedere come avverranno le eruzioni? La sfida dei vulcanologi, con l’aiuto della statistica

Il nuovo approccio è stato studiato sulla caldera dei Campi Flegrei: l’obiettivo è ottenere un modello predittivo valido per tutti i vulcani

Uno studio volto a capire come prevedere il modo in cui potrebbero eruttare i vulcani è stato recentemente pubblicato su Science Advance da un team di ricercatori che vede unite l’Ingv, l’Università di Roma Tre e il German research center for geosciences di Potsdam.


Si tratta della realizzazione di un modello fisico volto a localizzare le bocche eruttive. In questo modo sarebbe possibile individuare i percorsi delle colate laviche e il modo in cui si distribuiscono le ceneri.


L’importanza di sapere come erutterà un vulcano

Per quanto sia ancora impossibile prevedere eventi sismici ed eruzioni, molto si può ancora fare dal punto di vista della prevenzione. Conoscere con anticipo il modo in cui potrebbe avvenire un futuro evento sismico può fare la differenza; pensiamo solo alla recente eruzione a Stromboli.

Altri eventi più frequenti, come le eruzioni dell’Etna, continuano invece a sorprenderci, forse anche troppo – come è successo recentemente – facendo registrare disagi e ritardi all’aeroporto di Catania.

Come eruttano davvero i vulcani

La prima cosa che viene in mente quando pensiamo a una eruzione vulcanica è il magma che fuoriesce dal suo cratere in cima. In realtà le colate possono manifestarsi spesso ai fianchi del vulcano. Una volta superata la camera magmatica il magma può infatti risalire, facendosi strada attraverso le rocce, fratturandole. Questo fenomeno può avvenire anche lungo diversi chilometri.

Così è possibile avere ben più di una sola bocca eruttiva. Ecco quindi che diventa di fondamentale importanza per i vulcanologi, non tanto avere la sfera magica che ci fa prevenire quando un vulcano attivo erutterà, quanto sapere in che modo si dirigerà il magma, in modo da saper contenere i rischi.

Non è per niente strano che durante un’ eruzione possano formarsi anche decine di bocche eruttive, con tanto di «eruzioni esplosive», come quella che ha interessato recentemente Stromboli.

Secondo il ricercatore della Sezione «Osservatorio Vesuviano» dell’Ingv Mauro Di Vito «tutti i vulcani possono produrre questo tipo di bocche eruttive, dette monogeniche, ma alcuni lo fanno più di altri. Il modello proposto in questo studio unisce la fisica dei vulcani, che permette di comprendere come il magma fratturi le rocce per muoversi nel sottosuolo, le procedure statistiche e la conoscenza della struttura e della storia del vulcano in esame. Tramite la statistica, i parametri del modello fisico vengono affinati fino a quando il modello non riproduce i processi eruttivi passati».

Un nuovo modello per tutti i vulcani

Siamo quindi di fronte a un nuovo approccio, applicato innanzitutto alla caldera dei Campi Flegrei, nei pressi di Napoli. Proprio in quest’area sono state prodotte diverse fake news, che nulla hanno a che vedere col reale lavoro di monitoramento della zona da parte dei veri esperti.

Quando parliamo di “caldere” intendiamo dei vulcani formatisi a seguito del collasso del tetto di una camera magmatica, per via di una potente eruzione avvenuta in precedenza. In questo caso non è presente una sommità in cui possano concentrarsi le eruzioni, questo significa avere maggiore incertezza su come potrebbero avvenire.

I ricercatori hanno anche verificato se i risultati del modello potessero confermare il modo in cui sono avvenute eruzioni passate. Sicuramente la parte difficile è quella di ottimizzare il modello per tutti i vulcani.

«Il prossimo passo – continua Di Vito – sarà quello di applicare il metodo a specifici vulcani per costruire carte di pericolosità che ci aiutino ad individuare la posizione delle bocche di eruzioni future con un’affidabilità più elevata di quanto finora possibile. Se l’approccio funzionerà, infatti, potrà essere determinante nella pianificazione dell’uso del territorio in aree vulcaniche».

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