In Evidenza ENISiriaUSA
ESTERIBoris JohnsonBrexitRegno Unito

Brexit, il giorno cruciale in Parlamento per Johnson: il primo ministro perde la maggioranza alla Camera

03 Settembre 2019 - 18:07 Riccardo Liberatore
Per il primo ministro britannico la giornata del 3 settembre potrebbe diventare il giorno in cui perse il controllo del suo partito, del parlamento, del Governo e della Brexit

Nel giorno del discorso di Boris Johnson in Parlamento, il suo governo ha perso la maggioranza assoluta numerica che lo sosteneva alla Camera dei Comuni. La coalizione Tory-Dup, la cui maggioranza era ormai ridotta a un solo seggio, è stata abbandonata dall’ex sottosegretario Philip Lee, un oppositore della Brexit, che, con un gesto eclatante, ha lasciato i banchi dei Tory per sedersi tra i Liberaldemocratici. Ad annunciare il colpo di scena è stata la leader liberale Jo Swinson. Il cambiamento non comporta l’automatica caduta del governo: per far sì che l’esecutivo Johnson salti, c’è bisogno di un voto di sfiducia in Aula.

Il discorso

Raramente i discorsi del Primo ministro fuori dalla residenza di 10 Downing Street sono punteggiati da cori da stadio. È un segno delle divisioni non soltanto in sede al Regno Unito ma anche al parlamento, che segnano l’ultimo, clamoroso colpo di scena nella Brexit. Oggi, 3 settembre, una minoranza di parlamentari conservatori potrebbe votare contro il proprio Governo a favore di un’altra estensione della Brexit. Nel suo discorso il 2 settembre Boris Johnson ha detto chiaramente che non intende assecondare quella che ha definito «un’ennesima, inutile» posticipazione del voto che non farebbe altro che indebolire la posizione del Regno Unito nei negoziati con l’Unione europea. 

Negoziati che, a suo dire, stanno mostrando segni di progresso, grazie a tre fattori. Il primo sarebbe la concreta volontà del suo Governo di raggiungere un accordo, nonostante Johnson abbia più volte ribadito – come del resto ha fatto anche nel discorso del 2 settembre – che il Regno Unito avrebbe lasciato l’Unione europea a tutti i costi entro la scadenza del 31 ottobre, quindi anche senza accordo. Gli altri due motivi sono invece la lucidità e la lungimiranza del suo esecutivo – che a differenza di Theresa May ha ben chiaro come vorrebbe che fosse il rapporto tra il Regno Unito e l’Ue nel futuro – e la sua resilienza. Secondo BoJo è imperativo che a Bruxelles non ci sia la percezione che il parlamento possa ostacolare l’esecutivo e posticipare la Brexit. 

Il voto in parlamento

Da quì la decisione non solo di sospendere il parlamento per cinque settimane a partire dalla prossima, la famosa prorogation richiesta da Boris Johnson e autorizzata dalla Regina la settimana scorsa, ma anche di sfidare i “ribelli” nel suo partito, circa una ventina, che vorrebbero usare i giorni a disposizione del parlamento prima della chiusura, a partire da oggi, per impedire un’uscita senza accordo. L’idea è quella di chiedere un’estensione della scadenza della Brexit – prevista per il 31 ottobre – fino al 31 gennaio 2020. Johnson, che ieri aveva dichiarato di essere pronto a espellere loro dal partito conservatore, nel discorso ha dichiarato più volte di non voler tornare alle urne. Ma da 10 Downing street, come riporta il Guardian, trapela una volontà diversa. Johnson starebbe infatti prendendo in considerazione il fatto di sciogliere la Camera e tornare alle urne, possibilmente il 14 ottobre. Sempre che i due terzi della Camera siano d’accordo: per il momento soltanto il leader laburista, Jeremy Corbyn, ha detto di essere pronto a un confronto elettorale. Prima però bisognerà aspettare di vedere cosa voterà il parlamento.

Leggi anche:

Articoli di ESTERI più letti