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Israele (di nuovo) alle urne: Netanyahu sfavorito cerca l’appoggio dei russi

17 Settembre 2019 - 06:23 Redazione
Il premier uscente ci riprova e va alla ricerca del quinto mandato dopo aver fallito nella formazione di un governo lo scorso aprile

Israele torna al voto. A cinque mesi dalle ultime elezioni che avevano visto Netanyahu vincitore e pronto per il suo quinto mandato consecutivo, crescono le incognite per il leader del Likud in vista del voto del 17 settembre.

I risultati dello scorso 9 aprile non avevano permesso a Netanyahu di formare una coalizione di maggioranza alla Knesset, a causa del testa a testa con il rivale del partito blu e bianco ed ex generale dell’esercito Benny Gantz. Il 30 maggio il premier era stato costretto a convocare nuove elezioni.

L’ex capo di Stato maggiore, a un giorno dal voto, ritorna alle urne come l’anti Bibi. È lui il rivale, l’unico, che proverà ancora una volta a rovinare la festa al premier israeliano visto che i sondaggi lo danno in leggero vantaggio rispetto al capo del Likud.

Per le sorti del futuro governo resta decisivo anche Avigdor Lieberman, leader del partito ultranazionalista russofono Yisrael Beiteinu, ex alleato di Netanyahu al governo, oggi acerrimo nemico, che con i suoi 7 seggi in dote sarà probabilmente l’ago della bilancia.

Da qui, l’attivismo del leader del Likud, che negli ultimi mesi ha inserito in agenda la questioni delle pensioni dei veterani sovietici che vivono in Israele, ha nominato un ‘consigliere speciale’ per la comunità russofona, si è recato a stringere la mano al nuovo presidente ucraino Volodymyr Zelensky per poi volare a Sochi dal presidente russo Vladimir Putin in cerca del suo endorsement.

La strategia elettorale

Per affrontare la nuova tornata elettorale, i partiti hanno dato vita a una serie di fusioni: i laburisti si sono uniti a Gesher, partito liberale di Orly Levy, ex deputato di Yisrael Beiteinu, mentre la sinistra radicale di Meretz ha trovato l’accordo con il Partito Democratico di Ehud Barak, l’ex premier ritornato sulla scena politica dando vita all’Unione Democratica.

Moshe Kahlon, leader del partito centrista Kulanu sopravvissuto per il rotto della cuffia alle scorse elezioni, stavolta ha deciso di passare la mano, facendo un accordo con Netanyahu in cambio di posti sicuri in lista e il mantenimento dell’incarico di ministro delle Finanze nel prossimo governo.

Il partito di estrema destra guidato da Itamar Ben-Gvir potrebbe stavolta riuscire da solo a fare il suo ingresso nella Knesset. I sondaggi lo danno sul filo del rasoio per passare la soglia di sbarramento, galvanizzando la sua base elettorale.

L’affluenza

Ma a pesare sull’esito del voto è soprattutto l’incognita dell’affluenza dettata dall’appartenenza comunitaria. Gli ultra-ortodossi guidano i fedelissimi delle urne, mentre la minoranza araba oscilla tra sfiducia e astensione come forma di protesta, registrando così una partecipazione solitamente al di sotto della media nazionale.

Alle ultime elezioni di aprile l’affluenza araba è crollata al 49% rispetto al 64% del 2015; un segnale della disapprovazione degli elettori nei confronti dell’incapacità dei quattro partiti arabi di trovare un accordo e mantenere in vita la Lista Comune.

Il tema è centrale anche per il Likud, la cui base tradizionale negli anni ha mostrato qualche segnale di stanchezza nei confronti di Netanyahu che nelle ultime settimane ha deciso di strizzare l’occhio agli ultra-nazionalisti annunciando la volontà di voler annettere la Valle del Giordano in caso di vittoria.

«Bisogna impedire che la settimana prossima si formi un pericoloso governo di sinistra con Lapid, Odeh, Gantz e Lieberman. Un governo di sinistra laico, debole, che si basa sugli arabi che vogliono distruggerci tutti, donne, bambini, uomini, e che permetterà all’Iran nucleare di liquidarci», ha detto Netanyahu nelle ultime settimane dopo che la sua sparata sull’annessione della Valle del Giordano non ha avuto seguito.

Tanto da essere redarguito anche dall’Arabia Saudita, storico alleato arabo di Israele che, però, questa volta, alla chiamata alle armi di Netanyahu ha dovuto fare un passo indietro: «L’Arabia Saudita condanna e denuncia l’intenzione del primo ministro israeliano di annettere le terre della Cisgiordania occupata nel 1967 e considera questa misura completamente senza valore», ha scritto il Regno saudita in un comunicato.

Con i sondaggi che danno un testa a testa tra Netanyahu e Gantz, l’ex generale ha aperto alla possibilità di un governo di unità nazionale che escluda proprio il primo ministro uscente accusato a inizio anno di corruzione e frode.

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