Caso Cucchi, l’improvviso trasferimento del maresciallo a capo della squadretta. Il pm: «Prova che qualcosa non tornava» – Le carte

Nella memoria messa agli atti, lo strano trasferimento del comandante reggente della Stazione Appia. Dove tutto è cominciato

Le 562 pagine di memoria, depositate a conclusione della requisitoria, dal pm Giovanni Musarò ripercorrono passo passo quello che il magistrato ha spiegato prima della richiesta pene di 18 anni per i due carabinieri ritenuti autori del pestaggio (Di Bernardo e D’Alessandro) che avrebbe causato – seppure in modo indiretto – la morte del giovane geometra romano Stefano Cucchi. E, rispettivamente, di 8 e 3 e mezzo per i due coinvolti nell’accusa di falso (Madolini e Tedesco).


C’è però un aspetto che è rimasto sottotraccia nella lunga spiegazione del magistrato: il ruolo del maresciallo Roberto Mandolini, reggente del comando Stazione Appia (quella che esegue il fermo di Stefano Cucchi e a cui appartengono tutti e quattro i carabinieri che ora rischiano la condanna).


Un elemento che Musarò definisce «di natura logica»: il 3 dicembre 2009, venti giorni dopo la morte di Cucchi, Mandolini – che pure era considerato in carriera, giovane e brillante – viene improvvisamente trasferito in un reparto secondario.

Gli ordini di servizio sono tutti del generale Vittorio Tomasone, allora comandate provinciale.

Nella memoria depositata in aula, per la prima volta la procura ricostruisce anche questo episodio per intero:

  • Il 1.12.2009 il Comandante Provinciale dispone, per non meglio precisate “esigenze di servizio” e a decorrere dal 3.12.2009, che il maresciallo Mandolini sia provvisoriamente assegnato al Plotone di Rappresentanza Carabinieri di Roma;
  • Il 3.12.2009 Tomasone specifica che Mandolini perde l’alloggio di servizio di cui usufruiva e che lui stesso aveva richiesto.
  • Il  16.02.2009 sempre Tomasone scrive  nuovamente al Comando Legione Carabinieri Lazio, questa volta proponendo il trasferimento “a domanda” del Mar. Mandolini alla aliquota Radiomobile della Compagnia di Castelgandolfo, quale “capo equipaggio”, allegando una “dichiarazione di gradimento dell’interessato”.
  • Il 18.02.2009 la dichiarazione di gradimento dell’interessato viene effettivamente messa agli atti, dunque due giorni dopo gli atti presentati da Tomasone.

Perché? Il pm Musarò insiste molto su questo punto. Mandolini non viene coinvolto in alcun modo negli accertamenti sulla vicenda Cucchi né ha segnalazioni di demerito in quel periodo. Anzi da quel che dice il suo comandante, Emilio Bucceri, al lavoro di vice comandate di Stazione tiene parecchio. Eppure, improvvisamente viene trasferito. Il maresciallo Bucceri, suo diretto superiore (in una stazione che conterà sì e no 20 persone in servizio) dice di non sapere il perché e di non averlo chiesto a nessuno.

Foto Open | Giovanni Musarò

Eppure un elemento c’è. La notte del 15 ottobre 2009, Mandolini aveva spinto Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a lavorare fuori turno e in borghese, con l’obiettivo di «fare più arresti». E’ con questa pressione in testa che i due affiancano i colleghi in servizio che hanno fermato Cucchi e lo accompagnano durante la perquisizione. Nessun ordine diretto specifico, ovviamente. Ma è proprio Bucceri, che nei giorni di Cucchi era assente, a commentare a verbale: «E’ un classico che il Vice voglia primeggiare sul titolare, quindi magari dimostrare che quando uno è assente io faccio ancora di più. Io non avrei mai mandato in strada una pattuglia automontata composta da Tedesco e Aristodemo. Dai memoriali inoltre risulta che spesso Di Bernardo e D’Alessandro (i due accusati del pestaggio che ora rischiano una condanna a 18 anni ndr) lavoravano insieme da soli, io non avrei mai disposto un servizio di questo tipo».

«I risultati di tutto questo, con particolare riferimento all’arresto di Stefano Cucchi, sono sotto gli occhi di tutti”, conclude la Memoria.