Il figlio del boss della ‘ndrangheta: «Così ho convinto mio padre a pentirsi»

Da mafiosi a collaboratori di giustizia: papà e figlio stanno svelando gli assetti delle cosche del Nord

Lui si chiama Salvatore, ha 29 anni, ed è il figlio di Emanuele De Castro, detto “il siciliano”, ritenuto boss della ‘ndrangheta lombarda. Vicino al clan di Villagrazia di cosa nostra, Emanuele De Castro era diventato il vice reggente della cellula calabrese di Legnano. Ora sia lui che il figlio sono diventati collaboratori di giustizia.


Perché hanno deciso di collaborare

A spingerlo a fare questa scelta è stato proprio il figlio, che ai pm ha spiegato: «Sono stanco di questo stile di vita, soprattutto di quello di mio padre – come scrive il Corriere.it – Io stesso l’ho indotto a fare questa scelta».


Non ne poteva più di una vita fatta di arresti e condanne continue, conscio che dalla ‘ndrangheta sarebbe uscito o da morto o collaborando con lo Stato. E ha scelto questa seconda opzione.

«Ho deciso di collaborare perché non voglio che mio figlio faccia ‘sta fine come l’ho fatta io. Perché sono stanco, mi sembra una vita assurda. Vorrei vivere una vita tranquilla con la mia compagna e la mia bambina» ha spiegato il boss della ‘ndrangheta che, prima di collaborare, aveva inviato due lettere, dal carcere, direttamente al procuratore aggiunto Alessandra Dolci, a capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano.

Cosa hanno raccontato ai pm

Papà e figlio sono un fiume in piena. Hanno riempito centinaia di pagine di verbali raccontando tutto ciò che sanno, quindi quali sono gli assetti delle cosche al Nord e anche i presunti rapporti con politica, imprenditoria e pubblica amministrazione.

Padre e figlio, arrestati nell’ambito della stessa indagine, gestivano un parking nei pressi di Malpensa, poi sequestrato dagli investigatori.

«Io spacciavo droga. Non sono mai stato battezzato, mio padre non voleva che lavorassi per ”loro” — ha raccontato Salvatore De Castro — Mi diceva di starne fuori». «Gli chiedevo dei suoi viaggi in Calabria, del motivo per cui frequentasse Rispoli: tutti sapevano che senza il suo assenso qui non poteva muoversi foglia. E mi disse che apparteneva alla ‘ndrangheta» ha concluso.

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