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Sarà guerra tra Turchia e curdi? L’ex combattente italiano: «Non lasciamo risorgere l’Isis» – L’intervista

Claudio Locatelli, ex combattenta nel Rojava, e amico di Lorenzo Orsetti, scomparso a marzo per mano di Daesh ha chiarito i rischi di un'imminente invasione turca

Ankara è pronta a lanciare la sua offensiva nel nord della Siria. Dopo l’annuncio di Trump del progressivo ritiro delle truppe americane, la Turchia non ha perso tempo sferrando poche ore dopo un primo attacco aereo nei pressi di al-Malikiyah, nell’estremo nord-est del Paese.

Il semaforo verde dato dal presidente americano al leader turco Recep Tayyip Erdogan ha aperto un nuovo, e temuto scenario, nel lungo conflitto civile siriano, segnando la strada all’ennesimo fronte: quello tra le forze democratiche siriane, a maggioranza curda, e le truppe di Ankara.

Da anni la Turchia, Paese di confine con la Siria, cerca di indebolire le posizioni delle milizie curde del Ypg in territorio siriano, truppe considerate da Ankara affiliate del Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan che Turchia, Unione europea e Stati Uniti considerano un’organizzazione terroristica.

La mossa di Trump ha rimescolato ancora una volta le carte in tavola nel complesso risiko siriano. Claudio Locatelli, ex combattente italiano nel territorio curdo del Rojava, la regione autonoma curda nata nel nord della Siria a seguito dello scoppio della guerra civile, ha spiegato a Open i rischi, e le conseguenze dell’annuncio americano.

«Una pugnalata alle spalle». Questo il commento delle milizie curde. È stata una mossa inaspettata quella annunciata da Trump?

«Era nell’area da diversi mesi. Lo stesso presidente americano diversi mesi aveva fatto una dichiarazione simile. Da mesi le milizie curde si stavano preparando a livello militare a schierare la maggior parte delle truppe nel confine nord, soprattutto dopo che il califfato era stato sconfitto definitivamente a livello territoriale.

Ad agosto si era arrivati a un accordo, una zona di controllo di pattuglie unite tra americani, le forze democratiche siriane, e i curdi. Non era impensabile un volta faccia americano, ma non ci si aspettava avvenisse dopo il raggiungimento di questa intesa».

Come si muoveranno gli attori regionali?

«Tre giorni fa è stato notato un cambio di movimento di truppe russe, cosa insolita, ma che è un indice significativo. La zona di Shahba, rimasta sotto il nostro controllo si è riempita di passaggi di truppe russe, cosa insolita perché sono le truppe Ypg a pattugliare l’area. Già un anno fa si era tentato di avere l’appoggio di Mosca nel riconoscimento del nord della Siria come realtà  confederale.

Ansa/Il presidente siriano Bashar Assad in un incontro con il primo viceministro russo Yuri Borisov. Damasco, 20 aprile 2019

Sicuramente Assad può cogliere questa occasione per proporsi come futuro partner dei curdi per la gestione della crisi. Allo stesso tempo l’Iran, altro attore chiave nel conflitto siriano, si è detto contrario alle operazioni turche che potrebbero tuttavia costituire un’importante carta da giocare. Assad potrebbe offrirsi come alleato affidabile per poi sfruttare la situazione per prendere controllo del territorio.

A conferma di questo il fatto che Assad, meno di un giorno fa, ha iniziato ad ammassare truppe vicino alla città di Manbij, ancora in mano alle forze curde. Dall’altra parte, Assad potrebbe lasciare alla Turchia “il lavoro sporco” per poi riprendere il controllo dell’area curda».

Da Trump ci sono però messaggi contrastanti…

«Sì. Dalla Casa Bianca non sono arrivati segnali univoci. Questo fa sperare che possa esserci una flebile possibilità che l’invasione venga ritardata.  Trump ha dichiarato che nonostante il ritiro americano supporterà militarmente i curdi».

Ansa/Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan con il leader americano Donald Trump durante il G20 di Osaka, 29 giugno 2019

Nelle ultime ore abbiamo visto entrare diversi convogli americani attraverso il check point tra Iraq e Siria. Stiamo parlando di attrezzatura militare e soldi rivolti alle Fds. Sembra che Trump abbia quindi voluto fare lo spavaldo inizialmente per poi trovare lo stop del Pentagono e del dipartimento di Stato così come di parte del Congresso».

Se la Turchia dovesse intervenire che guerra sarà?

«Le dinamiche di un futuro scontro con Ankara sono note dall’epoca di Rakka. I comandi generali delle Ypg hanno confermato anche in queste ore che sarà una guerra di difesa, a tutto campo. Cosa è rimasto nel nord della Siria? La rivoluzione del Rojava e tutto quello che è rimasto, è tutto ciò che è stato liberato: per loro non c’è un’alternativa, non c’è una seconda casa dove andare.

Le truppe curde daranno il tutto per tutto, casa dopo casa. Questo significa che l’ago della bilancia verrà spostato nelle città turche. Non si effettuerà una battaglia solo all’interno dei confini siriani. Se la Turchia aggredirà le Fds lo scontro si sposterà anche dentro il territorio turco, e Ankara lo sa».

Cosa accadrà ai jihadisti dell’Isis?

«Il ritorno e la rinascita dello Stato Islamico è uno dei maggiori rischi. Ci sono circa 70mila prigionieri collegati a all’Isis nelle nostre carceri in Siria, di cui 14.500 foreign fighters. Lo Stato Islamico nell’ottica di un’imminente battaglia diventerà secondario: i curdi non saranno in grado di gestire una guerra di aggressione contro la Turchia e i prigionieri jihadisti allo stesso tempo».

La Turchia vuole ricollocare rifugiati nell’area curda. Che conseguenze potrebbe avere questa scelta?

«È una politica che la Turchia ha messo in atto già lo scorso anno, durante l’assedio della Ghouta orientale. Ankara aveva fatto partire diversi pullman da Damasco per portare i rifugiati assediati verso Afrin. La Turchia vuole riproporre questo modello nella federazione democratica curda, un modello già in atto nell’enclave di Afrin. Quì Ankara ha predisposto un ricollocamento forzato di cittadini provenienti dal sud della Siria in aree che sono a maggioranza curda con il tentativo di contrapporli ai cittadini che già vi abitano».

Potrà essere fermata l’incursione turca?

«L’unica cosa che può bloccare l’avanzata di Ankara è un deterrente, che può essere mantenere la presenza militare americana, o francese. L’altra opzione è quella per cui mi sento di fare un appello: i vari Paesi europei devono prendere posizione. L’esercito italiano, per esempio, dovrebbe aiutare le truppe francese già presenti in Siria e rafforzare la presenza militare.

Ansa/Lorenzo Orsetti, il combattente italiano morto in Siria lo scorso marzo

Da parte dei cittadini, ognuno dovrebbe scrivere al proprio parlamentare di riferimento, a chi si è votato chiedendo coerenza con la lotta al terrorismo internazionale, ricordando che chi si è interposto a quella marea di terrore nero chiamato Isis merita la nostra gratitudine.

Se questa parola ha ancora un valore. Non potremmo gestire le miglia di prigionieri dell’Isis se dovessimo difenderci dalle aggressioni turche e jihadiste. Migliaia di persone hanno perso la vita, uomini e donne, tra cui il nostro Lorenzo Orsetti, per sconfiggere il califfato. Non lasciamo che risorga».

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