Bolivia, niente ballottaggio: Morales vince le elezioni con oltre 10 punti di vantaggio sull’avversario

Il presidente boliviano è stato riconfermato per la quarta volta di fila, ma le ultime elezioni lo hanno visto contestato in diverse parti del Paese

Il Tribunale supremo elettorale (Tse) della Bolivia ha ufficializzato i risultati delle elezioni di domenica 20 ottobre: il presidente uscente Evo Morales ha vinto con il 47,08% dei voti, e sarà a capo del governo per la quarta volta consecutiva.


Il suo più diretto avversario, Carlos Mesa, ne ha raccolti il 36,51%: il capo dello Stato uscente ha ottenuto il 10,57% di voti in più dello sfidante e quindi, in linea con la Costituzione boliviana, ha il diritto di dichiararsi vincitore. Non ci sarà dunque bisogno di ricorrere al ballottaggio, che sarebbe stato previsto in caso attorno al 15 dicembre.


Morales è al potere da 13 anni, ed è stato il primo governatore indigeno di questa nazione. Ora, dopo una campagna elettorale burrascosa, dovrà fare i conti con un’economia nazionale in difficoltà e una parte dell’elettorato che gli è ostile.

La autorità smentiscono i dubbi sui brogli

La presidente del Tribunale, María Eugenia Choque, ha precisato che fra gli altri candidati si sono distinti il pastore evangelico Chi Hyun Chung del Partito democratico cristiano (8,78%) e Oscar Ortiz (4,24%). Uno dei giudici, Idelfonso Mamani, ha assicurato che lo scrutinio è avvenuto sulla base di liste di elettori «verificate ed affidabili», in un processo da cui è esclusa qualsiasi ipotesi di brogli, come suggerito da più parti.

Sulla correttezza del processo ha obiettato l’opposizione, soprattutto dal partito Comunidad Ciudadana di Mesa e dai comitati civici, che hanno chiesto l’intervento dell’Organizzazione degli Stati americani. Nel periodo prima delle elezioni, numerosi contestato

L’Osa ha anche direttamente proposto una revisione dello scrutinio e indicato che se il margine di vittoria di Morales fosse stato troppo stretto, sarebbe stato meglio procedere ad un ballottaggio il 15 dicembre. Questa posizione è stata appoggiata anche dall’Unione europea (Ue) e da quattro Paesi americani (Usa, Argentina, Brasile e Colombia).

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