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Migranti, scontro sul nuovo patto Italia-Libia: 25 della maggioranza non ci stanno. Msf: «Maquillage umanitario»

31 Ottobre 2019 - 12:20 Angela Gennaro
Per Di Maio, interrompere gli accordi sarebbe un vulnus politico. Ma è la società civile a ritenerne la stessa esistenza del memorandum un vulnus: «un accordo internazionale che non ha visto alcun passaggio parlamentare». 25 esponenti della maggioranza scrivono una lettera aperta contro il rinnovo

«Si rinnoveranno il 2 novembre, giorno dei morti. Mai data fu più tragicamente idonea per la stipula di un contratto sulla pelle delle persone». È la sintesi che Baobab Experience, realtà di attivisti che si occupa a Roma di migranti transitanti, fa del rinnovo degli accordi Italia-Libia previsto per sabato. «Annullatelo», chiede al governo il Tavolo Asilo, che unisce molte associazioni che si occupano di immigrazione.

Un appello al momento inascoltato dall’esecutivo giallorosso, da più parti accusato di non segnare alcun cambio di passo rispetto al precedente governo gialloverde: i decreti sicurezza sono ancora lì. E gli accordi con la Libia andranno avanti: nonostante le inchieste giornalistiche, la guerra, le denunce di realtà sovranazionali su quanto accade nel paese e a chi tenta di fuggirne. Si faranno però, questa la posizione della maggioranza, delle modifiche inerenti soprattutto la questione dei centri di detenzione: proprio quelli dove si consumano «orrori inimmaginabili». Modifiche che non cambieranno nulla, ribattono dalla società civile.

La versione di Minniti

Il Memorandum di intesa sui migranti – Memorandum of understanding, Mou (qui un’analisi di cosa prevede punto per punto) tra il governo italiano e quello di Tripoli, è stato firmato il 2 febbraio 2017. Era l’era di Marco Minniti al Viminale: oggi l’ex ministro dell’Interno su Repubblica difende quella scelta in un’intervista a Gad Lerner: «Gli 8 articoli di quella intesa non sono le Tavole della Legge. Resto però dell’avviso che non lo si possa cambiare in maniera unilaterale», spiega.

Nessun rimpianto, nessun passo indietro per Minniti. «Non ho mai autorizzato accordi che sacrificassero l’etica e i diritti umani», assicura il predecessore di Matteo Salvini. Nega oggi qualsiasi ‘patto col diavolo’: «Non abbiamo lasciato una delega in bianco ai libici. Non gli abbiamo chiesto: “Aiutateci a fermarli”. Gli abbiamo detto: “Aiutateci a cambiare la Libia”», dice Minniti a Repubblica.

Marco Minniti, Camera dei Deputati, Roma, 21 novembre 2018. ANSA/Riccardo Antimiani

«Sono arrivato al Viminale alla fine del 2016, anno in cui si contarono 180 mila sbarchi in Italia. Il nostro sistema di accoglienza era sull’orlo del collasso». Rivendica, Minniti, quel memorandum e oggi il suo rinnovo. Perché «non possiamo lasciare la Libia a se stessa», dice.

A che prezzo?

Il governo

Per il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, interrompere gli accordi sarebbe un vulnus politico. Pensare che è la società civile, insieme a molti esperti giuridici, a ritenerne la stessa esistenza del memorandum un vulnus: perché «si tratta di un accordo internazionale che non ha visto alcun passaggio parlamentare – come invece Costituzione prevederebbe», spiega Antonello Ciervo di Asgi, associazione studi giuridici sull’immigrazione.

«Dovrà cambiare radicalmente, aveva assicurato Nicola Zingaretti, segretario Pd. «Lavoriamo per migliorarlo», dice il suo alleato di governo Di Maio. Che spiega: «Una riduzione dell’assistenza italiana potrebbe tradursi in una sospensione delle attività della guardia costiera libica con conseguenti maggiori partenze, tragedie in mare e peggioramento delle condizioni dei migranti nei centri di accoglienza».

Difficile però immaginare come potrebbero ulteriormente peggiorare le condizioni di quei centri di detenzione (in Libia l’immigrazione irregolare è punita con la reclusione) definiti da più parti «lager» dove si consumano «orrori inimmaginabili» sulla pelle delle persone qui nel limbo. Orrori raccontati da chiunque riesca ad arrivare in Europa partendo dalla Libia sulla rotta del Mediterraneo centrale.

«Non è possibile procedere al rinnovo degli accordi con la Libia per una via burocratica. La Libia è un tassello troppo importante e le notizie sulla violazione dei diritti umani sono così orrende che si deve procedere a una verifica dei risultati prodotti dagli accordi», dice Lia Quartapelle, capogruppo Pd in commissione Esteri di Montecitorio, a margine del Question Time, durante il quale Laura Boldrini, deputata dem, interrogando il governo sulle modifiche da apportare, ha sottolineato che «riteniamo necessario modificare il memorandum d’intesa con la Libia, perché nel frattempo in Libia é scoppiata una guerra civile e non é possibile considerarlo un porto sicuro». (E Boldrini sa bene che non era considerato tale neanche prima).

«Sono necessarie profonde modifiche perché rapporti Onu e inchieste giornalistiche hanno documentato come i centri di detenzione si siano trasformati in luoghi di violenza e tortura. Questi rapporti ci dicono anche che componenti della guardia costiera libica sono collusi con i trafficanti di esseri umani».

Le modifiche al Memorandum

Dalla firma del memorandum a oggi, «almeno 38.229 migranti sono stati intercettati e riportati in Libia», ricorda Matteo Villa, ricercatore Ispi esperto in migrazioni. «Dal calo degli sbarchi di luglio 2017, quasi 1 migrante su 2 è stato intercettato. E 2.602 persone sono morte in mare».

«Per ogni persona evacuata dai centri di detenzione nel 2019, più di 4 sono state intercettate in mare e riportate in quegli stessi centri», spiega oggi Msf. «Il 75% delle persone nei centri sono considerate a rischio dall’UNHCR, ma continuano a essere intercettate e riportate indietro. Nell’ultimo anno il tasso di mortalità nel Mediterraneo centrale è considerevolmente aumentato, confermandolo la rotta migratoria più letale al mondo».

Le modifiche sul piatto dovrebbero comunque essere approvate anche dai libici: gli scambi diplomatici sono appena cominciati, in Libia c’è la guerra civile, continuano a coesistere due governi e il tempo scadrà il prossimo 3 febbraio. Interesserebbero la presenza di organizzazioni umanitarie nei centri di detenzione, ma anche timidi corridoi umanitari, riattivando programmi di evacuazione e rimpatrio.

L’intento è anche quello di migliorare la condizione dei 19 centri governativi ufficiali: un tentativo non inedito, in una situazione “complessa” – per usare un eufemismo. I centri infatti sono oggi controllati dalle varie milizie che si spartiscono il territorio: UNHCR e organizzazioni umanitarie riescono ad avere un accesso assai limitato.

Ma la carta che gioca Luigi Di Maio è proprio quella di un ulteriore coinvolgimento delle Nazioni Unite, che dovrebbero aumentare i loro investimenti in programmi alternativi alla detenzione nei centri: un progetto già in atto per esempio a Tripoli, dove vengono erogati dei fondi per l’alloggio dei rifugiati.

Punti che smonta, in una nota, l’ong Medici senza Frontiere: modifiche «irrilevanti» rispetto all’impianto dell’accordo. «I programmi di evacuazione si fanno solo se i paesi di destinazione accettano di reinsediare le persone; l’esperienza pratica dimostra che la presenza di organizzazioni umanitarie e Nazioni Unite, in un contesto di generale difficoltà di accesso, non basta a garantire una protezione di base né a migliorare in modo sostanziale le condizioni dei centri di detenzione; i programmi alternativi di detenzione urbana non riescono a rispondere ai bisogni di sicurezza e protezione in un ambiente estremamente pericoloso, caratterizzato da scontri armati, traffico di esseri umani e violenza, e nella maggior parte dei casi hanno scarso impatto e utilità».

E si rispolvera anche un vecchio mantra già veicolato in epoche ‘così vicine, così lontane’: centri di accoglienza in Libia sotto l’egida dell’Unione europea. Un progetto da finanziare spostando le risorse di Frontex: 9 miliardi.

Un’ipotesi però già smentita, a poche ore, dalla stessa Europa. «Questo piano non esiste», dice la portavoce della Commissione europea, Natasha Bertaud, rispondendo a una domanda dei giornalisti sulle indiscrezioni pubblicate dal quotidiano La Repubblica su un piano dell’Unione Europea per creare degli hotspot di migranti in Libia sotto il controllo Ue. «Un piano non esiste. Non c’è alcuna intenzione che questo piano esista in futuro», dice Bertaud. Quanto alla Libia, ha ribadito, «non ci sono le condizioni per considerarlo come un paese sicuro».

I dissidenti nella maggioranza

«Il fondo rimpatri avrà circa 20-25 milioni di euro, che ci serviranno a chiudere gli accordi per i rimpatri nei Paesi di provenienza, come la Tunisia e altri. Potremo avere i fondi per finanziare progetti di cooperazione allo sviluppo», assicura ancora Di Maio.

Ma di fronte al rinnovo e alle modifiche proposte, 25 esponenti giallorossi non ci stanno: 22 parlamentari più tre eurodeputati, Pietro Bartolo, Pierfrancesco Majorino, Massimiliano Smeriglio. In un documento chiedono di sospendere con effetto immediato gli accordi. Tra i firmatari, Rossella Muroni, Nicola Fratoianni, Stefano Fassina di Leu ma anche, nella minoranza Pd vicina a Matteo Orfini, Giuditta Pini, Fausto Raciti e Francesco Verducci. Firmano – riporta ancora Repubblica – anche i renziani di Italia Viva Davide Faraone, Massimo Ungaro e Gennaro Migliore. Insieme a loro ex M5s come Paola Nugnes e Gregorio De Falco, Riccardo Magi di più Europa e un’unica dissidente M5S: Virginia La Mura.

‘Maquillage umanitario’

Medici senza frontiere chiama le modifiche proposte all’accordo Italia-Libia «un contraddittorio ‘maquillage umanitario’». «Mentre si annuncia di voler migliorare le cose – con soluzioni difficilmente realizzabili – si perpetuano scellerate politiche di respingimento e detenzione sulla pelle delle persone», spiega Marco Bertotto, responsabile advocacy di MSF.

«L’unica soluzione umanitaria possibile è superare del tutto il sistema di detenzione arbitraria, accelerare l’evacuazione di migranti e rifugiati dai centri favorendo efficaci alternative di protezione, e porre fine al supporto dato alle autorità e alla guardia costiera libica che alimenta sofferenze, violazioni del diritto internazionale e l’odioso lavoro dei trafficanti di esseri umani, a terra e in mare», conclude l’ong.

In copertina: «A pochi giorni dalla scadenza per il rinnovo tacito dell’accordo tra Italia e Libia, appello urgente per la sua revoca e la cancellazione delle missioni italiane in Libia. Ancora decine di migliaia i migranti in trappola sotto le bombe nei lager libici», afferma Oxfam, 29 ottobre 2019. ANSA / Pablo Tosco / us Oxfam Italia

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