La parola della settimana: attenzione

di OPEN

Quanto la dimensione della comunicazione social influenza – in negativo – la nostra soglia di attenzione, e quanto la politica la sfrutta per distrarci e influenzare la nostra opinione?

Mai come nelle ultime settimane l’attenzione dei media nazionali e non si è concentrata attorno a TikTok, la famosa app made in China che spopola tra gli adolescenti e conta già un miliardo e mezzo di utenti attivi – di cui tre milioni di italiani. Al di là dei problemi legati alla censura cinese e alla mancanza di controllo sulla diffusione di contenuti legati al suprematismo bianco, al negazionismo climatico e all’incitamento della violenza, le preoccupazioni maggiori riguardano la fruizione stessa dei contenuti.


Se è vero che il problema coinvolge tutte le principali piattaforme social, indicate da diversi studi scientifici come responsabili di una crescente diffusione del disturbo dell’attenzione (ADHD, dall’inglese Attention deficit hyperactivity disorder) tra i giovani, è altrettanto vero che TikTok sembra esacerbarne, almeno per il momento, gli aspetti più preoccupanti. La brevissima durata dei contenuti – video compresi tra i 15 e i 60 secondi -, la fruizione quasi totalmente passiva, la viralità come fine ultimo e la mancanza di approfondimento sono tutti tratti distintivi dell’app. 


Mi iscrivo per essere seguito, per essere seguito devo produrre contenuti virali, per diventare virale devo rincorrere i trend del momento e infilarmici dentro il prima possibile, prima che si esauriscano. Una sequenza di azioni che lascia certamente poco spazio al ragionamento, in cui viene premiato chi produce il contenuto più originale all’interno di un frame già dato.

Il problema non riguarda solo i cosiddetti creator, ovvero coloro che producono i contenuti, ma anche e soprattutto gli utenti passivi che si limitano a entrare nella piattaforma per guardare. Da questo punto di vista TikTok e i social network in generale rappresentano un vero buco nero per la nostra attenzione: accedi un po’ annoiato pensando “ma sì, ci sto solo cinque minuti”, vieni completamente risucchiato dal flusso infinito di contenuti proposti dall’algoritmo e ne esci dopo due ore, sconvolto e incredulo – “come ho fatto a non accorgermi dello scorrere del tempo?”. 

Il deficit di attenzione e la fruizione delle news online

Uno degli aspetti più inquietanti di questo trend riguarda il consumo dell’informazione online. Come mostrato da un recente studio, in Italia l’interesse alla lettura delle news online, in tutte le fasce d’età, è decisamente maggiore rispetto a quello registrato negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. Le differenze più marcate a livello generazionale riguardano soprattutto l’interesse alla lettura delle news – il 59% dei Millennials si considera “assiduo lettore di notizie”, dato che cresce al 66% nella generazione X -, e la scelta delle fonti: mentre le generazioni più adulte dichiarano di ricorrere prevalentemente ai siti di news, i social network rappresentano la fonte informativa principale per i giovanissimi. Rispetto ai siti di news, tra l’altro, i social hanno il vantaggio di riuscire ad intercettare e trattenere l’utente sulle proprie piattaforme molto più a lungo e, dunque, a veicolare molti più contenuti.

La domanda dunque sorge spontanea: se il deficit di attenzione è uno dei tratti distintivi dei social network, che impatto ha sulla fruizione delle notizie e sul loro approfondimento – non solo da parte di chi le legge, ma anche da chi le assembla? Le notizie false, infatti, non sono solo quelle che vengono create appositamente per inseguire trend online, ma anche quelle redatte in fretta da giornalisti disattenti che, inseguiti dall’ansia di aumentare il traffico, non hanno tempo di verificarne la veridicità. 

La comunicazione politica sui social

Questa rapida trasformazione ha inevitabilmente toccato anche la politica. La comunicazione politica è stata da sempre legata alle piazze, almeno finché la tecnologia e i nuovi mezzi di comunicazione di massa non hanno fisicamente allontanato i politici dagli elettori. La prima è stata la radio, che ha reso superflua la compresenza in un unico luogo di chi parla e chi ascolta, aumentando allo stesso tempo la capillarità del messaggio. Poi la televisione, che ha restituito l’elemento della fisicità rendendola però artefatta, costruita a tavolino: ricordiamo tutti il famoso messaggio televisivo di Silvio Berlusconi per annunciare la sua “discesa in campo”, con lui perfetto, elegante, calmo e sorridente. 

E oggi? Oggi la politica si fa online, e vince – almeno all’inizio – non tanto chi propone le idee e le soluzioni migliori, ma chi cura di più il proprio personal brand, chi emoziona di più gli utenti, chi crea i contenuti più virali e chi intercetta meglio i trend – quando non arriva addirittura a crearli.

D’altro canto non potrebbe essere diversamente: una diretta Facebook o un post su Instagram valgono come dieci comizi in termini di persone raggiunte e uniscono due aspetti altrettanto importanti. Oltre a durare nel tempo, restando online e accumulando visualizzazioni anche a distanza di mesi, danno anche un’impressione di vicinanza, di contatto umano. I politici incitano gli utenti a commentare, a esprimere il proprio parere, fanno domande e rispondono pubblicamente sotto i propri post.

L’altra faccia della medaglia di questa ritrovata “connessione diretta” tra politico ed elettore, è che per la natura stessa delle piattaforme social e per la già citata passività con cui ne fruiamo i contenuti, dedichiamo sempre meno attenzione alle fonti delle notizie. Una recente inchiesta di Report ha scoperchiato il vaso di Pandora mostrando come dietro la comunicazione politica di alcuni importanti esponenti di partiti nazionali ci siano veri e propri apparati di manipolazione dell’opinione pubblica. 

Come? Grazie a fake news diffuse da account gestiti in modo da rilanciare migliaia di volte notizie che cavalcano pregiudizi e paranoie diffusi, gonfiandoli a dismisura, e che hanno come effetto parallelo quello di distrarre l’opinione pubblica da problemi che richiedono una più urgente soluzione.

Attenzione alla concentrazione?

Insomma, se la dimensione della comunicazione social da un lato sollecita di continuo la nostra attenzione, catturandola e presentando ogni contenuto come essenziale, dall’altro non favorisce la concentrazione e l’approfondimento, anzi. Questo fenomeno ha effetti ancora più dannosi quando dal campo dei contenuti leggeri e di intrattenimento ci spostiamo su quello dell’informazione: non tutte le notizie sono sullo stesso piano e non tutte le notizie sono vere per il solo fatto di essere online. Occorre fare uno sforzo di concentrazione, appunto, e uscire dalla logica del “mordi e fuggi” per imparare a distinguerle. 

Allo stesso tempo, se l’ansia diffusa rispetto ai possibili effetti dannosi dei social network sui più giovani si riduce a una sorta di paternalismo nei confronti delle nuove generazioni, senza tenere conto del più ampio contesto di un mondo sempre più veloce e sempre più connesso che include tutti – genitori inclusi – diventa una polemica sterile e vecchia come il tempo.

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