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Disoccupati non vuol dire inattivi: tutto quello che i giovani fanno per la società senza ricevere compenso

10 Dicembre 2019 - 14:34 Giada Ferraglioni
Parola del Forum Europeo della Gioventù: «Ci sono talmente tanti modi diversi attraverso cui i giovani contribuiscono alla crescita della società, che prescindono da quel che si fa per essere retribuiti»

«Cara Sarah, le giovani generazioni sono così pigre! Come posso fare per fargli capire che tutto quello di cui hanno bisogno è un impiego?». Firmato: Angela Merkel.

La citazione non è proprio letterale, è vero. Si tratta di una frase inventata all’interno di un progetto di comunicazione dell’European Youth Forum, l’organizzazione internazionale che rappresenta e mette in relazione più di un centinaio di organizzazioni giovanili.

Con una serie di video, il forum prova a distruggere i miti sul futuro del lavoro e dell’economia che, direttamente o indirettamente, i leader europei continuano ad alimentare.

Il titolo di uno del video in cui compare Angela Merkel è All you need is work (Tutto quello di cui hai bisogno è un impiego), un gioco di termini che ribalta il famoso adagio beatlesiano «All you need is love» (tutto quello di cui hai bisogno è l’amore). Probabilmente, il termine «pigri» arriva da quella famosa e discussa opinione che la cancelliera tedesca risevò nel 2011 ai Paesi del Sud dell’Europa, messi in ginocchio dalla crisi.

Ma come Italia, Grecia, Spagna e Portogallo non sono il fardello dell’Europa del Nord, così le giovani generazioni non sono il fardello delle più anziane. Anzi: fanno molto di più e, spesso, senza che si tratti di lavoro (o di unico impiego).

«All you need is work»

«Oh Angela!», risponde Sarah, la ragazza che compare nel video e parla a nome delle giovani generazioni. «Ci sono talmente tanti modi diversi attraverso cui i giovani contribuiscono alla crescita della società che prescindono da quel che si fa per essere retribuiti».

«Il punto è che queste cose sono invisibili, perché accadono spesso nella sfera privata», dice ancora la ragazza. «Come sarebbe il mondo se le persone smettessero di prendersi cura le une delle altre? O se smettessero di fare volontariato? La società smetterebbe semplicemente di funzionare».

«Le giovani generazioni non sono pigre», conclude Sarah. «Potrebbe essere che semplicemente hanno messo a fuoco cosa ha davvero valore nella loro vita. È il momento che la società riconosca e supporti il loro sforzo».

Giovani attivi e partecipi in Europa

A dare ragione al Forum c’è anche un’indagine promossa dalla Commissione Europea, intitolata Giovani Europei. Lo studio, pubblicato nel 2018, fotografa la partecipazione dei giovani europei tra i 15 e i 30 anni in una serie di ambiti sociali come le associazioni, le organizzazioni, i club sportivi, i centri per i rifugiati, eccetera.

Più di metà degli intervistati (il 53%) ha dichiarato di esser stato coinvolto in un gruppo o un’organizzazione nell’arco del 2017 e del 2018, partecipando alle attività di una società sportiva (29%), di un club o di un’organizzazione giovanile (20%), o di un’organizzazione culturale (15%).

La partecipazione complessiva è anche aumentata di 4 punti percentuali rispetto all’ultimo sondaggio – che risaliva a dicembre 2014.

Volontariato: una propensione poco incoraggiata dalle Istituzioni

Che sia insegnare una lingua, cucinare e distribuire pasti per i senzatetto, ripulire spiagge piene di rifiuti o intervenire per riqualificare zone urbane abbandonate, i giovani europei sono quindi molto attivi sul fronte del soccorso sociale.

Stando all’indagine della Commissione, gli ambiti preferiti sono quelli dell’educazione e dell’insegnamento di competenze più in generale (53%), quello della protezione dell’ambiente (50%), dell’aiuto per l’occupazione (42%) e dell’assistenza ai rifugiati e ai migranti per l’integrazione (40%).

Attività non retribuite, sì, ma che richiedono un’enorme quantità di energia e che creano presupposti fondamentali per un cambio di rotta della società. Soprattutto in un momento storico in cui pare difficile trovare una quadra sulle politiche di inclusione e integrazione.

La maggior parte di queste attività, inoltre, si concentra sulle comunità locali. Il 31% degli intervistati afferma di essere stato coinvolto in attività organizzate di volontariato negli ultimi 12 mesi, con un aumento di 6 punti percentuali rispetto all’ultimo sondaggio di dicembre 2014.

Tra i volontari, il 28% afferma di aver ricevuto una sorta di riconoscimento formale per la propria partecipazione, ad esempio un certificato o un diploma. L’8% dei giovani intervistati si è proposto come volontario all’estero e anche questa percentuale è aumentata di 2 punti da dicembre 2014.

A tal proposito, un dato interessante è che sono molto pochi i giovani che hanno avuto la possibilità di fare volontariato all’estero (solo l’8% del totale). La maggior parte di loro ha motivato la risposta dicendo di “non aver avuto l’opportunità di farlo”.

E la scarsa predisposizione istituzionale a creare le condizioni affinché i giovani possano esprimersi nel sociale è una questione annosa anche nel nostro Paese. Secondo i Centri di servizio per il volontariato (CSV), le Istituzioni e le organizzazioni italiane non riescono ad approfittare abbastanza della spinta sociale delle giovani generazioni.

«A differenza di quanto accade negli altri Paesi europei, dove il coinvolgimento è molto più immediato – dicono a Open – in Italia per fare volontariato bisogna passare da associazione spesso molto connotate, che fanno lunghi corsi di formazione prima di passare alla pratica. All’estero è molto più informale: basta farsi avanti e scendere in campo».

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Foto copertina: Screen dal video “All you need is job”

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