Da apprendista a lavoratore fisso: un percorso ancora pieno di ostacoli

Occasione o sfruttamento di manodopera? In Italia l’apprendistato funziona ancora meno del previsto

Che cos’è l’apprendistato? In poche parole, si tratta di un rapporto di lavoro a tempo determinato (più tutelato e retribuito del tirocinio) destinato alla formazione sul campo di giovani under 30, e alla loro successiva occupazione.


Da una parte gli apprendisti imparano (retribuiti) a svolgere una professione. Dall’altra, l’azienda può investire a costi ridotti sulla formazione di un suo futuro potenziale dipendente.


Una formula “win-win”, dunque, come si direbbe in gergo? Una strategia grazie alla quale entrambe le parti ci guadagnano? Non proprio: stando ai dati e alle testimonianze di chi ne ha avuto esperienza, sono sempre di più gli apprendistati che non riescono a formare davvero i giovani e ancora troppo pochi i rapporti di lavoro che si trasformano in contratti a tempo indeterminato.

Il salto contrattuale

L’ultimo rapporto diffuso dall’Osservatorio del precariato dell’Inps ci parla di 246.376 contratti di apprendistato redatti nel 2019 (dati aggiornati a settembre). Di questi, solo 59.528 sono stati trasformati in contratti a tempo indeterminato.

Dati Inps | La prima colonna riporta i dati delle assunzioni per ogni mensilità del 2018. La seconda riporta i dati del 2019 aggiornati fino a settembre
Dati Inps | La prima colonna riporta i dati relativi a ogni mensilità dell’anno 2018. La seconda riporta i dati relativi alle mensilità del 2019 fino al mese di settembre.

Secondo un rapporto Inapp, nel corso del 2017 erano stati formalizzati 324.902 rapporti di apprendistato. I contratti trasformati a tempo indeterminato sono stati 73.037, in diminuzione sia rispetto al 2016 ed ancor più rispetto al 2015, anno nel quale le trasformazioni ebbero un forte impulso grazie anche all’entrata in vigore, nel marzo 2015, del contratto di lavoro a tutele crescenti.

La (scarsa) qualità del periodo di formazione

Anche gli ultimi dati diffusi dall’Irpet (istituto regionale Programmazione economica Toscana) mettono in luce una situazione molto poco confortante: per 100 giovani avviati all’apprendistato in Toscana, solo 21 di questi riescono a veder convertito il proprio contratto nel tempo indeterminato. Gli altri vengono inquadrati, sempre a tempo determinato, in altri ambiti di apprendistato.

A questi vanno aggiunti altri 9 su 100 che vengono mandati semplicemente a casa. Perché è così difficile continuare nell’azienda in cui ci si sta formando? «Che si cerchi solo manovalanza è più di un dubbio», dice a Repubblica Monica Stelloni, sindacalista del dipartimento mercato del lavoro della Cgil Toscana. «Del 70% che interrompe l’apprendistato prima del termine, il 37% lo fa per dimissioni ma il 33% lascia non per sua scelta. “Gli abbandoni sono in aumento del 10%».

«È molto sospetto il “ricambio” continuo di tirocinanti e apprendisti – continua Stelloni – a volte con gli stessi giovani richiamati dall’azienda a ripetere l’esperienza ma con qualifica diversa».

Più che un periodo di formazione mirato all’inserimento, dunque, l’apprendistato (diverso dal tirocinio) è stato inglobato nella logica del lavoretto occasionale: un contratto a breve termine per poter sfruttare manodopera a basso costo senza impegni per il futuro.

La sentenza della Cassazione

A tal proposito, nell’aprile del 2018 si era già espressa la Cassazione. Con l’ordinanza 8564, la Corte Suprema aveva stabilito che, in caso di mancata formazione, l’apprendistato deve essere convertito in un rapporto a tempo indeterminato con qualifica ordinaria.

L’episodio a cui si riferiva la sentenza riguardava due lavoratori in apprendistato che, arrivati alla scadenza del periodo, erano stati semplicemente mandati via dall’azienda.

I lavoratori avevano denunciato che la formazione si era concentrata solo nei primi tre giorni di lavoro, e consisteva in un semplice affiancamento da parte di un dipendente più qualificato. Un caso non raro, come raccontato anche da diverse testimonianze raccolte da Open.

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Foto copertina: Irina su Unsplash