Cannabis light, e adesso cosa succede?

di OPEN

In un primo momento il 12 dicembre era arrivato il via libera dal Senato con un emendamento alla manovra che legalizzava la sua vendita. Ma la decisione della presidente del Senato Casellati di escludere la norma dalla manovra rimanda una decisione in merito e prolunga l’incertezza che avvolge la coltivazione e la vendita del prodotto

Dopo il Mes, la norma sulla cannabis light ha segnato uno dei passaggi più “sanguinosi” della manovra. Da una parte il centrodestra con la Lega che denunciava la «droga di Stato», per citare Matteo Salvini, dall’altra invece chi, come il senatore M5s Matteo Mantero, fra i promotori del provvedimento, esortava i senatori a pensare agli agricoltori, alle 3mila aziende e alle circa 12mila persone che coltivano la canapa in Italia.


Alla fine ha avuto la meglio il centrodestra: la presidente del Senato Elisabetta Casellati ha dichiarato inammissibile la norma per la legalizzazione perché ritenuta non inerente alla materia del bilancio. Una valutazione dal carattere tecnico, ma dal sapore politico per alcuni, che ha rimandato di fatto – a data ancora da definirsi – la discussione e l’eventuale approvazione o bocciatura della norma.


«Ho chiesto alla presidente Casellati di calendarizzare la proposta di modifica sulla canapa industriale alla prima seduta utile», ha dichiarato a Open il senatore Matteo Mantero. «Spero a gennaio».

Una paralisi iniziata a maggio

Una decisione che ha fatto ripiombare nell’incertezza coltivatori di canapa e venditori di cannabis light, prolungando così uno stato di incertezza che va avanti da maggio di quest’anno quando la Cassazione, con una sentenza del 30 maggio, ha stabilito che vendere i prodotti derivati dalla cannabis light fosse un reato.

Due i punti contenziosi. Il primo riguarda l’utilizzo delle inflorescenze perché la legge n. 242 del dicembre 2016 non prevede che vengano vendute e consumate per essere fumate. Il secondo invece riguarda i possibili effetti degli altri principi attivi presenti nella cannabis light oltre il Thc (tetraidrocannabinolo).

La sentenza della Cassazione non ha però decretato la chiusura dei negozi di cannabis light – sarebbero oltre 10mila i punti vendita in Italia – almeno non nell’immediato, per concedere invece del tempo per valutare la reale “efficacia drogante” dei prodotti.

Il 12 dicembre però era arrivato nella notte il via libera dal Senato con un emendamento alla manovra approvato che faceva chiarezza su una serie di punti spinosi, a partire dalla quantità di Thc massima che avrebbero dovuto contenere i prodotti (inferiore allo 0,5%), ufficializzando non solo la coltivazione ma anche la vendita di cannabis light. Era prevista finanche una tassazione di 0,4 euro per grammo sul prodotto finito.

La denuncia dell’associazione

Tutto è finito con la decisione del 16 dicembre. Una decisione che per Federcanapa è «fondata su ragioni prettamente politiche, dal momento che l’emendamento era assolutamente attinente alla materia del bilancio, rispondendo alle esigenze produttive e finanziarie di un intero comparto agro-industriale».

La federazione – composta da imprese, esperti e associazioni del mondo della canapa in Italia – ha chiesto al governo un intervento urgente per «chiarire alcuni aspetti della normativa vigente in materia di canapa industriale, un settore che risulta tuttora gravato dal caos delle interpretazioni difformi da caso a caso, le quali, talvolta, mettono in discussione anche gli aspetti pacifici della normativa, ossia la piena liceità della coltivazione di cannabis sativa finalizzata all’ottenimento dei prodotti elencati dalla legge n. 242/2016».

Anche Luca Marola, fondatore di Easyjoint, la compagnia che per prima ha cominciato a vendere la cannabis a basso contenuto di thc in Italia, ha dovuto ricredersi dopo aver, in un primo momento, esultato per l’emendamento passato il 12 dicembre. «La destra ha vinto. Per ora. L’appello è alle forze di maggioranza che predispongano un testo di legge o un decreto il prima possibile. Non facciamo vincere il salvinismo…», ha scritto Marola su Facebook. Un’altra voce che si aggiunge al coro di coltivatori, produttori, venditori – e deputati – che chiedono al più presento un intervento del governo.

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