Non è questione di destra o sinistra: l’uccisione di Soleimani è un atto illegale e pericoloso

L’assassinio del generale iraniano è un atto che viola ogni trattato o legge internazionale, il più grave assassinio di stato compiuto dagli Usa in tempo di pace

È vero che in questi tempi si sta sgretolando tutto il sistema di rapporti e di equilibri che ha retto il mondo negli ultimi decenni, ma non possiamo per questo considerare normale e accettabile quel che accettabile non è.


Gli Stati Uniti, non dobbiamo mai dimenticarlo, hanno avuto un ruolo decisivo per schiacciare il nazismo e i suoi alleati, e portare la libertà nel nostro continente, e poi preservarla sotto l’ombrello della Nato dalla minaccia sovietica.


È grazie al rapporto tra Europa e Stati Uniti che la democrazia rappresentativa si è imposta nel mondo come modello di partecipazione e di organizzazione delle nazioni.

Ma proprio per tutto questo, anche guardando i fatti da un paese che è stato liberato dagli angloamericani, è stato aiutato generosamente nella sua ricostruzione post bellica dal Piano Marshall e non ha mai cessato di essere leale alleato dell’America, non si può passare quel che sta succedendo come il pugno liberatorio di chi troppo a lungo è stato provocato.

L’omicidio del Generale Soleimani, la figura più importante in Iran dopo l’Ayatollah Khamenei, è il più grave assassinio di stato compiuto dagli Usa in tempo di pace, e non per modo di dire: uccidere il comandante generale di uno stato sovrano, e per di più mentre si trova in un altro stato sovrano, è un atto che viola ogni trattato o legge internazionale. L’ultima volta che gli Stati Uniti uccisero un capo militare di un’altra nazione in un paese straniero- come ricorda il New York Times – fu durante la Seconda guerra mondiale, quando decisero di abbattere l’aereo su cui volava l’ammiraglio giapponese Isoroku Yamamoto.

È certo possibile, anzi è provato, che Soleimani fosse il burattinaio di tanti gruppi militari sulla scena mediorientale, che ci sia la sua mano dietro a azioni sanguinose, che in un mondo ideale figure come la sua sarebbero messe sotto processo. Ma gli Stati Uniti non sono lo sceriffo del mondo, e se su questo pianeta ricominciasse a farsi strada la legge del più forte sarebbe proprio la democrazia la prima delle vittime.

L’omicidio di Soleimani è avvenuto in Iraq, il paese diventato di fatto un satellite dell’Iran dopo la guerra di invasione americana (e britannica) del 2003, motivata dall’accusa secondo cui il regime di Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa. Quell’accusa, portata in consiglio di sicurezza dell’Onu dall’allora segretario di Stato americano Colin Powell, era costruita ad arte. Gli atti di guerra fabbricati su misura non solo sono illegali, ma provocano sempre effetti contrari a quelli cercati. Tolsero l’Iraq a Saddam per regalarlo a Teheran: sedici anni dopo, a cosa porterà l’operazione Soleimani?

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