‘Ndrangheta, Graviano racconta: «Ho fatto un figlio mentre ero al 41 bis»

In udienza il boss è tornato a parlare dei suoi rapporti con Berlusconi e della stagione stragista

«Mia moglie non è mai entrata in carcere, nella cesta della biancheria. Forse, parlavo di mio fratello, che venne messo nella mia stessa cella. Non posso raccontare come andò, ci fu solo un momento di distrazione degli agenti ma mia moglie non è mai entrata in carcere». A parlare è il boss Giuseppe Graviano – condannato all’ergastolo per le stragi del 1992-1993 – durante il processo ‘Ndrangheta stragista a Reggio Calabria. In particolare, il pm Giuseppe Lombardo, durante l’udienza di oggi 14 febbraio, cerca di fare luce su uno degli interrogativi che lo riguardano: l’esistenza di due figli, nati mentre era sotto il regime carcerario del 41 bis. «A cosa interessa una cosa mia personale in questo processo?», dice.


Incalzato dal pm – «Secondo me, l’ha capito perché ho fatto questa domanda. Vorrei capire se un passo verso di lei venne fatto, con un attimo di distrazione, facendo entrare sua moglie» – l’uomo dichiara: «La politica non c’entra in questa situazione, questa intercettazione non risponde alla realtà. Non racconterò mai a nessuno come ho concepito mio figlio, dico solo che non ho fatto nulla di illecito, ci sono riuscito ringraziando anche Dio e sono rimasto soddisfatto. Non ho chiesto alcuna autorizzazione, ma ho approfittato della distrazione degli agenti Gom». Tra gli argomenti trattati durante la deposizione in aula – come raccontato da la Repubblica – anche i suoi rapporti con Silvio Berlusconi e la strage di via D’Amelio in cui venne ucciso il giudice Paolo Borsellino e, insieme a lui, morirono anche cinque agenti della scorta.


I rapporti con Silvio Berlusconi

«Avevo chiesto al mio compagno dell’ora d’aria, Umberto Adinolfi, di avvicinare persone vicine a Berlusconi per ricordargli il suo debito. Doveva rispettare i patti. C’erano soldi che mio nonno aveva consegnato a Silvio Berlusconi, all’inizio degli anni Settanta, si era stabilita la percentuale del 20 per cento da allora in poi». Secondo il boss, però, qualcosa andò storto e quel denaro non fece più ritorno in Sicilia. «E io non volevo fare brutta figura con l’impegno di mio nonno verso quelle persone a Palermo che avevano partecipato all’investimento. A mio cugino Salvatore arrivavano di tanto in tanto dei soldi: 500 milioni di lire, 300 milioni. Lui li investiva, a Palermo e in altre parti d’Italia. Aveva dato 600 milioni per comprare dei magazzini, affare che poi non si concretizzò. E investì nell’Iti caffè», racconta. Alla scorsa udienza, il boss delle stragi aveva raccontato di un investimento fatto dal nonno materno e da tre palermitani, all’inizio degli anni Settanta: venti miliardi di lire, che sarebbero finiti nella costruzione di Milano 3, «ma anche nelle televisioni», aveva detto il boss.

Gli anni delle stragi

«Non ho fatto le stragi, sono innocente : ho una dignità, una serietà, non dico bugie», annuncia il boss che, nel frattempo, si dice disponibile a parlare di «altri argomenti, quando mi interrogherete in nuove occasioni». E gli argomenti sarebbero quelli già accennati nell’ultima udienza: l’omicidio dell’agente Agostino, la sparizione dell’Agenda Rossa tanto cara al giudice Borsellino, poi trafugata dopo a strage del 19 luglio 1992. Nell’udienza di oggi racconta di un «progetto di più persone per farmi arrestare». Infine Graviano torna ad accusare Berlusconi: «Ha tradito anche Marcello Dell’Utri. Le leggi che ha fatto Berlusconi hanno danneggiato pure lui, che è stato condannato».

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