La scalata di Michael Bloomberg alla Casa Bianca passa anche per i meme su Instagram. Ma funzionerà?

di OPEN

Dopo aver speso oltre 1 milione di dollari al giorno in pubblicità su Facebook, ora tenta di conquistare l’elettorato più giovane

Michael Bloomberg ha solo un obiettivo: «Battere Trump». È la frase riportata sulla sua biografia su Instagram, dove il 78enne ex sindaco di New York e magnate editoriale è entrato in scena con la sua campagna elettorale per conquistare la Casa Bianca alle prossime presidenziali. 


Il candidato dem ha già sborsato oltre 350 milioni di dollari per la propria campagna elettorale, di cui 1 milione al giorno solo per la pubblicità di Facebook. Che però, oltre a limitare l’uso dei meme a scopi politici, potrebbe non bastare, perché è ormai un sentiero social per lo più abbandonato soprattutto dai più giovani. 


E così Bloomberg ha deciso di assoldare una serie di influencer creatori di contenuti virali che potessero aumentare la risonanza del suo personaggio, rivolgendosi per lo più a un pubblico giovane, in diretta concorrenza con la potenziale base elettorale di Bernie Sanders, il candidato dem più apprezzato dagli under 30.

La strategia di Meme2020

Il personaggio creato da Bloomberg è quello del classico “boomer” tanto impacciato quanto ricchissimo (non a caso è l’ottavo uomo più ricco del mondo e nasconderlo non gioverebbe di certo, ndr) con un approccio pseudo-giovanile, non di certo giovane. E di questo sembra esserne esplicitamente consapevole. 

E così Bloomberg e il suo staff si approcciano agli influencer mediante finti messaggi diretti per farlo apparire “cool”, o quantomeno simpatico, chiedendo loro di creare un contenuto divertente sul suo conto, ovviamente in cambio di soldi, come nelle più tradizionali “marchette” a cui ci hanno abituato gli influencer nostrani e non. 

La strategia della campagna (Meme2020) è coordinata dall’Ad della Jerry Media, controversa società di marketing accusata in passato – con fondatezza – di aver “rubato” battute e sketch virali senza dare credito al creatore originale, pur innescando una discussione – tuttora aperta – sul diritto di proprietà dei contenuti creati a livello digitale e riproposti nel marketing.

Sino a ora sono stati coinvolti influencer con un potenziale bacino di 60 milioni di utenti, ma è plausibile che la campagna diventi sempre più capillare e Bloomberg e il suo staff arruolino anche micro influencer, con un pagamento minimo per post di 150$.

Ma questa campagna funzionerà?

Ma questa campagna funzionerà? Ovviamente a dirlo sarà il tempo, anche se è plausibile che evolverà e si plasmerà mano a mano. Le prime impressioni sono contrastanti. Da un lato la campagna ha ricevuto il plauso per essersi immersa in modo strutturato in una nicchia del Web sino ad ora pressoché inesplorata dalla politica. Come rovescio della medaglia, però, Bloomberg viene accusato di “comprarsi” i voti, così come di aver “inquinato” il social “foto-ideografico” di Zuckerberg.

Che la politica sia in realtà già passata anche a Instagram è un dato di fatto, ma certamente non in modo così strutturato e disinvolto. Quel che manca di certo è la spontaneità della viralità, nonché l’assenza di naturalezza nella nascita, crescita e sviluppo di un meme, che nella campagna di Bloomberg viene invece costruito artificiosamente e artificialmente. Ma non è affatto detto che questo importi a Bloomberg, che potrebbe essere più interessato a far conoscere il suo nome alle generazioni più giovani.

Che la campagna Meme2020 non sia invece, sotto sotto, forse la trasposizione dell’individualismo imperante su Instagram e quella di Bloomberg sia una campagna, in realtà, “me-me” (io-io), anche se sul sito ufficiale dice che «Together, we will get it done» («Insieme ce la faremo»)? L’avversario è non solo Sanders, ma Donald Trump. Cui certo non si può dire che manchi la componente “ego”.

In copertina EPA/Justine Lane | Michael Bloomberg a New York, USA, 15 gennaio 2020

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