Coronavirus, l’accusa del virologo Crisanti: «Si è pensato prima all’economia. Troppi morti: la classe dirigente ha fallito»

L’accusa del consulente della Regione Veneto sui ritardi con cui si è deciso di fermare le fabbriche. Soprattuto nella Bergamasca, dove fino a pochi giorni fa erano attive aziende in settori non necessari

Il fallimento del “metodo italiano” per il contrasto all’epidemia del Coronavirus è tutto nel numero delle vittime, oltre che in quello dei contagiati ampiamente sottostimato, secondo il professor Andrea Crisanti, che al Corriere della Sera punta il dito contro i ritardi e i modi con cui si è intervenuto finora. «Non riesco a spiegarmi come sia stato possibile sottovalutare le dimensioni dell’emergenza, quando erano sotto gli occhi di tutti: in Lombardia i malati saranno almeno 250 mila, 150 mila sintomatici e 100 mila asintomatici, in Italia ne calcolo 450 mila… altro che 60 mila». Cifre che confermano quel che già aveva dovuto ammettere il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, che a la Repubblica ieri 24 marzo aveva stimato che per ogni caso positivo, potevano essercene dieci non censiti.


A Crisanti si deve la linea scelta dal Veneto di Luca Zaia, che ha deciso di fare i tamponi anche a chi non presentava sintomi. Una direzione che doveva essere seguita anche a livello nazionale e che sta provando ad applicare anche la Lombardia: «Penso che facciano bene – dice il direttore dell’Unità complessa diagnostica di microbiologia a Padova e docente di Virologia all’Imperial college di Londra – C’è molta gente che accusa sintomi non gravi e potrebbe essere positiva. Dovrebbero però cercare anche fra gli asintomatici, testando le categorie più esposte, per cerchi concentrici. Ma penso che avrebbero dovuto farlo 20 giorni fa. E invece non c’è stata alcuna sorveglianza epidemiologica. Vedo persone che muoiono a grappoli. Questo è un fallimento della classe dirigente del Paese. Troppi morti».


È sulla strategia di intervento che il professor Crisanti insiste: «Bastava mettere tutte le risorse possibili sui focolai iniziali, come hanno fatto in Giappone, Corea e Taiwan. E invece da noi fino a pochi giorni fa c’erano industrie attive con migliaia di dipendenti, penso soprattutto a Bergamo, per produrre beni peraltro non necessari. Abbiamo voluto difendere il Paese dei balocchi e l’economia anche di fronte alla morte».

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